“Se ci sono tante denunce, vuol dire che i cittadini sono furiosi per come viene esercitata l’azione amministrativa. E ricorrono allo strumento penale perché gli altri strumenti – il ricorso in autotutela, al giudice amministrativo o al giudice civile – si rivelano inefficaci. Pensare di togliere questo disagio eliminando una fattispecie di reato è come pensare di far passare la febbre cambiando termometro. Arriveranno denunce per altri reati, i cittadini cercheranno altre fattispecie a cui possa essere ricondotto il loro malessere”. È l’avvertimento di Piercamillo Davigo, ex pm del pool di Mani pulite e già presidente della II Sezione penale della Cassazione, durante le audizioni in Commissione Giustizia alla Camera sui quattro disegni di legge (presentati da Forza Italia e dal Terzo polo) che vorrebbero eliminare o restringere il reato di abuso d’ufficio, ritenuto un ostacolo alla libertà di azione dei sindaci. Una modifica legislativa chiesta anche dall’Anci, l’associazione degli amministratori locali: occorre “restituire agibilità, certezza e dignità ad un ruolo che negli anni è stato esposto a imputazioni penali troppo spesso infondate“, ha detto di fronte alla Commissione il vicepresidente, il vicesindaco di Chiuduno (Bergamo) Stefano Locatelli. Il vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, ha detto che la proposta del governo “arriverà entro maggio in Consiglio dei ministri”.

Sul merito della riforma però la maggioranza resta divisa: se Forza Italia, come il ministro della Giustizia Carlo Nordio, sarebbe favorevole all’abrogazione tout court dell’articolo 323 del codice penale, FdI e soprattutto la Lega frenano e preferirebbero una (ulteriore) revisione in senso restrittivo. In audizione, peraltro, Davigo ha sottolineato che l’esistenza di questa fattispecie nel nostro ordinamento è vincolata da una convenzione Onu, la Convenzione di Merida contro la corruzione, che all’articolo 19 recita: “Ciascuno Stato parte esamina l’adozione di misure legislative per conferire carattere di illecito penale al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della propria posizione, ossia di compiere, o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi, al fine di ottenere un indebito vantaggio per sè o per un’altra persona o entità”. “Provate a confrontarlo con il nostro articolo 323 del codice penale e ditemi cosa si può toccare senza violare questa norma. A dirla tutta, forse non copriamo nemmeno tutto ciò che questa norma richiede”, ha aggiunto il magistrato. Dopo la riforma varata nel 2020, infatti, restano punibili solo violazioni di regole “espressamente previste dalla legge (…) e dalle quali non residuino margini di discrezionalità. E modificare ancora i contorni della fattispecie uscendo dai limiti dettati dalla Convenzione, ha avvertito l’ex pm, sarebbe “un illecito di diritto penale internazionale“.

Non solo. “Oltre a un problema di diritto internazionale, c’è un problema di spendibilità politica di una riforma di questo genere nei rapporti con l’estero. Io ho avvertito come una ferita lancinante, da cittadino di questo Paese, vedere che le cronache belghe parlavano della vicenda del Qatar come un “Italian job, cioè una vicenda caratteristica degli italiani, noti per la corruzione nel loro Paese e cose di questo genere. Dà l’idea del prezzo di immagine che pagherebbe l’Italia se violasse una convenzione di questo genere, che – badate bene – è una convenzione delle Nazioni unite, non una convenzione bilaterale che si può risolvere”, ha avvertito Davigo. Una preoccupazione rilanciata dalla deputata del Pd Debora Serracchiani: “Siamo dentro un contesto internazionale, c’è una direttiva europea in discussione sulla lotta alla corruzione, che è diventata prioritaria dopo la vicenda Qatargate. Tutti i Paesi europei hanno nella loro disciplina penalistica una fattispecie come quella dell’abuso d’ufficio. Toglierla mi sembra estremamente dannoso, anche perché potremmo esporci all’ennesima procedura d’infrazione su un tema delicatissimo. Francamente, visto quello che già si racconta di noi all’estero, daremmo non solo modo di continuare a crederlo, ma anche un fatto preciso in mano a chi ci denigra”, ha detto.

Davigo ha infine invitato a “guardare l’ordinamento nel suo complesso, perché è vero che il processo è un fastidio, ma ci sono delle norme di contorno: per esempio, un dipendente pubblico, se viene assolto o archiviato, ha diritto al rimborso delle spese di difesa. Certo che è fastidioso, ma fa parte del conto che uno paga quando giura fedeltà alla Repubblica perché si appresta a svolgere pubbliche funzioni. Sono le regole del gioco. Dopodiché, se si ritiene di dover intervenire sul numero delle denunce, si tratta di trovare rimedi più efficaci, per esempio un difensore civico a cui ci si possa rivolgere per evitare che si vada a una denuncia al giudice penale”.

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