Era stato arrestato con l’accusa di essere il boss di un quartiere di Catania. Dopo poco più di un anno in carcere a Napoli aveva smesso di mangiare, deperendo sempre più, fino alla morte, la scorsa notte, a 66 anni. Adesso il suo avvocato, Salvatore Silvestro, chiede “che siano accertati i profili di responsabilità per quella che è di fatto una morte annunciata”. Maurizio Giacomo Ieni, indicato da alcuni collaboratori come co-reggente del clan del rione Consolazione, in passato era stato già condannato per associazione mafiosa. Scontata la pena era poi tornato in libertà. Mentre era ancora sottoposto a sorveglianza speciale era stato arrestato di nuovo nel gennaio del 2022 assieme ad altre 14 persone nell’ambito dell’operazione antimafia della procura di Catania che aveva colpito il clan Pillera-Puntina. Dopo un anno nel carcere di Secondigliano di Napoli, le sue condizioni psichiche si erano però aggravate: “Disturbo depressivo maggiore grave con caratteristiche melanconiche e anoressia nervosa in soggetto con psoriasi ed altre patologie”, come ripetuto dal legale nell’istanza di attenuazione della misura cautelare. Non mangiava più da mesi, aveva perfino perso tutti i denti, non era più in grado di nutrirsi, questo denuncia il suo legale: “Era di fatto in uno stato comatoso, non hanno fatto neanche entrare il dentista”.

Lo scorso 27 marzo, d’altronde, il perito nominato dal gup di Catania, Massimiliano Esposito, aveva considerato che lo stato del presunto boss fosse compatibile col carcere, sebbene fosse da tenere sotto controllo e sotto cura: “Le condizioni di salute del soggetto – scriveva Esposito – ancorché necessitanti di adeguato trattamento e monitoraggio clinico/strumentale ambulatoriale, in costanza di detenzione, non ostano, allo stato, con la permanenza dello stesso all’interno di una struttura carceraria, purché siano garantiti il monitoraggio clinico/strumentale, la somministrazione di terapia medica specifica e gli opportuni accorgimenti terapeutici sino ad oggi dallo stesso praticati”. Compatibile col carcere ma da tenere sotto monitoraggio, perlomeno questo era il quadro a marzo. Mentre “nelle ultime settimane le condizioni di salute dell’imputato si sono notevolmente aggravate”, scriveva così Silvestro lo scorso 6 maggio nella richiesta in cui chiedeva che la misura cautelare in carcere – disposta anche vista il profilo di reiterazione di Ieni – fosse attenuata in quella della misura cautelare ai domiciliari.

La pm, Assunta Musella, si era espressa contrariamente alla richiesta di domiciliari: “Non reputandosi – aveva scritto Musella – che le condizioni di salute indicate siano incompatibile con il regime carcerario”. Così, quattro giorni dopo la richiesta, lo scorso 10 maggio, il gip, Luigi Barone rigettava l’istanza: “Visto il parere della pm, ritenuto che non sono emersi ulteriori profili tali da avere modificato il quadro clinico dell’imputato e ritenere l’incompatibilità con il regime carcerario”. “Abbiamo provato inutilmente di dimostrare la gravità di condizioni di salute del mio assistito ma è stato tutto vano, adesso questo drammatico esito prova che purtroppo avevamo ragione”, denuncia adesso Silvestro. Che insiste: “Ci aspettiamo che vengano accertate le responsabilità di chi ha determinato con le proprie negligenze e le proprie omissioni la morte annunciata di Ieni”.

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