“Vi leggo cosa dice l’articolo 19 della Convenzione di Merida, ratificata dall’Italia, sull’abuso d’ufficio. Cambiare la norma oltre i limiti di quell’articolo è un illecito di diritto internazionale. ‘Ciascuno Stato parte esamina l’adozione di misure legislative per conferire carattere di illecito penale’, quindi non civile o amministrativo, ‘quando l’atto è stato commesso intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della propria posizione, ossia di compiere, o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi, al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un’altra persona o entità’. Provate a confrontarlo con il nostro articolo 323 del codice penale e ditemi cosa si può toccare senza violare questa norma. A dirla tutta, forse non copriamo nemmeno tutto ciò che questa norma richiede”. Lo ha detto, in commissione Giustizia, l’ex magistrato Piercamillo Davigo in merito ai quattro disegni di legge presentati dal centrodestra e dal Terzo Polo che hanno l’obiettivo di abrogare o restringere le fattispecie dei reati di abuso d’ufficio e traffico d’influenze illecite.
“Oltre a un problema di diritto internazionale – ha continuato Davigo – c’è un problema di spendibilità politica di una riforma di questo genere nei rapporti con l’estero: io ho avvertito come una ferita lancinante, da cittadino di questo Paese, vedere che le cronache belghe parlavano della vicenda del Qatar come un ‘italian job’, cioè una di quelle vicende caratteristiche degli italiani, noti per la corruzione nel loro Paese e cose di questo genere. Mi ferisce perché non è vero o comunque non è del tutto vero, ma dà l’idea del prezzo di immagine che pagherebbe l’Italia se violasse una convenzione di questo genere, che – badate bene – è una convenzione delle Nazioni unite, non una convenzione bilaterale che si può risolvere.