Frutteti e vigneti sono stati trascinati a valle dalla furia dell’acqua, ma in montagna e in collina non si possono neppure fare sopralluoghi perché alcuni movimenti franosi non sono ancora assestati. Restano irraggiungibili, così come solo isolati alcuni allevamenti. In Emilia-Romagna il disastro provocato dall’alluvione ha più facce, anche quello dei danni all’agricoltura. Venti fiumi tracimati, esondazioni che hanno raggiunto la costa e centinaia di frane hanno stravolto un territorio ampio: da Bologna a Ravenna, dall’area di Forlì-Cesena a quella di Rimini, ma anche parte del Ferrarese. E in queste condizioni di precarietà, con 40 comuni sommersi dall’acqua, ponti e strade crollate e paesi al buio è difficile fare la conta dei danni. La prima stima di Confagricoltura Emilia-Romagna parla di “danni fino a 6mila euro a ettaro per i seminativi, quindi grano, orzo, mais, soia, girasole, erba medica, orticole e colture da seme e 32mila euro a ettaro per frutteti, vigneti e oliveti, inclusi quelli per i raccolti persi e il costo dei reimpianti”. Ma non è tutto qui: il calcolo, infatti, non comprende “le ripercussioni su scorte, strutture, macchinari e neanche le anticipazioni di liquidità finalizzate a far ripartire l’attività”. E poi ci sono le operazioni sospese, come i trapianti del pomodoro da industria, i trattamenti fitosanitari e la mancanza di foraggio per l’alimentazione delle bovine da latte. Quando risponde al telefono a ilfattoquotidiano.it Andrea Betti, presidente di Confagricoltura Ravenna, nonché vicepresidente per l’Emilia-Romagna è al centro del disastro: “Mi sposto – dice – sto ripulendo un appartamento dall’acqua, che è arrivata a sette metri”. Difficile anche immaginarlo. Betti ha un’azienda agricola a Riolo Termi: “Il terreno era arido a causa della siccità, si sono formate delle crepe e, si sa, il terreno secco diventa impermeabile. L’acqua scivola, distruggendo tutto”.
La mappa del disastro: servono tra i 5 e i 6 miliardi di euro – Rispetto alle stime dei primi giorni di maggio, che parlavano di danni, dopo la prima alluvione, per circa un miliardo di euro, quelle attuali continuano a salire. “Non so se c’è stata una sottovalutazione del problema. Ci sarà da accertare le responsabilità – commenta Betti – perché i danni saranno importanti. Siamo attorno a 5-6 miliardi di euro per l’Emilia-Romagna e alcune province delle Marche, senza i quali molte aziende agricole non avranno più la capacità di riprendersi”. Somme già lontane dalle stime dei primi di maggio, che parlavano di danni, dopo la prima alluvione, per circa un miliardo di euro. La prima conta dei danni riguarda le aree già alluvionate o soggette a ristagno idrico, in particolare nel Bolognese, tra Imola, Conselice e Massa Lombarda, nel Faentino, nel Ferrarese e nel Forlivese. In tutta la provincia di Ravenna è stato danneggiato il 70% della superficie agricola. “Solo nella Bassa Romagna – spiega Confagricoltura – il conto agricolo delle inondazioni supera i 200 milioni di euro. Sono finiti sott’acqua e sono ancora coperti da uno strato di limo, argilla e sabbia, circa 1.800 ettari a Conselice e 1.500 ettari a Villanova e Boncellino di Bagnacavallo. L’ondata di fango ha invaso i frutteti (peschi, albicocchi, susini e peri), le vigne del Trebbiano e quelle del tipico Bursòn come pure il distretto delle colture da seme. Confagricoltura stima che serviranno “centinaia di migliaia di euro ad azienda per il ripristino e la messa in sicurezza nei comuni martoriati dai dissesti”.
Dalla frutta che non verrà raccolta al grano bagnato nei magazzini – Piogge, inondazioni e smottamenti hanno messo in ginocchio le province frutticole e vitivinicole, i distretti delle colture sementiere e agroindustriali, le filiere zootecniche e il granaio regionale. “Credo che i danni maggiori li pagherà il fiore all’occhiello dell’Emilia, ossia il comparto della frutta. Se non c’è produzione per ricostruire il tutto ci vorranno almeno 5 anni” spiega Betti. L’alluvione ha lasciato sott’acqua anche l’azienda di Luigi Bosi, vicepresidente dei Giovani di Confagricoltura Emilia Romagna, a Boncellino di Bagnacavallo (Ravenna). Qui, il fiume Lamone è esondato due volte in quindici giorni e acqua e fango hanno invaso l’80% dei suoi campi. Tutto distrutto: ortaggi prossimi alla raccolta, una ventina di ettari di viti e alberi da frutto, come peri, meli, peschi e ciliegi. A preoccupare tutti sono anche gli interventi complessi da fare per poter salvare le aziende: “Ripristinare una frana in una proprietà privata diventa difficile”. Il presidente regionale di Confagricoltura, Marcello Bonvicini, abbracciando la linea della Regione e del Governatore Bonaccini chiede “il decreto-legge speciale” perché servono interventi straordinari “per dare pieno sostegno alla popolazione e alle imprese”. In queste ore anche il direttore del Consorzio agrario di Ravenna, Massimo Masetti ha lanciato l’allarme: “Le emergenze si stanno susseguendo, come la problematica legata ai cereali, perché in alcuni casi l’acqua è entrata anche nei magazzini e il grano bagnato non potrà più avere le destinazioni di uso iniziali con danni economici ingenti”. Per l’Emilia-Romagna si tratta della quarta dichiarazione di stato d’emergenza nazionale nell’arco di un anno. “Due hanno riguardato la siccità – replica Betti – e le ultime due alluvioni”.
Le sentinelle del territorio – Ma quanto accaduto si poteva prevedere? “Non c’è memoria di un’altra alluvione di questa portata. Bisogna tornare alla fine degli anni Trenta del secolo scorso, ma si tratta di fenomeni che hanno coinvolto una vallata e non più vallate come in questo caso” spiega Betti, sottolineando che questa non è un’area storicamente soggetta ad alluvioni o a queste anomalie. “E allora non dico che non sia stato fatto nulla – aggiunge – ma magari si pensava a pulire otto, dieci chilometri di alberi all’interno del fiume e poi si facevano interventi dopo due o tre anni”. Ma il vicepresidente di Confagricoltura Emilia-Romagna fa anche un’altra riflessione, ricordando che in passato l’agricoltore si prendeva cura del fosso, dei margini del fiume, tagliava i boschi. “Noi agricoltori – spiega – siamo sentinelle del territorio, soprattutto per la collina, ma tra norme e burocrazia sempre più stringenti tutte queste cose non si possono più fare e l’agricoltore spesso non è più neanche in grado di dare degli allarmi o di capire se è stata fatta una giusta e sufficiente manutenzione. Se gli agricoltori non tornano ad avere questo ruolo, rischiamo di perdere tutte le produzioni collinari, già più difficili”. Fa parte della rete di Confagricoltura anche l’imprenditore Alessandro Bacchilega, che ha investito in un impianto di kiwi di 15 ettari, nell’alta collina, a Brisighella (Ravenna), ma un’inondazione ha trascinato a valle terreno e piante. “In montagna manca completamente la manutenzione degli alvei, che si riempiono di legname e detriti” racconta l’agricoltore, chiedendo di mettere in sicurezza la zona. Anche per lui, al momento, i danni sono incalcolabili.