Eppure i soldi per mettere mano all’Italia che si allaga, frana e uccide ci sono. E ci sono pure piani straordinari per usarli. Hanno nomi trionfali e rassicuranti, da “ItaliaSicura” a “ProteggItalia“, per citare i più recenti. La verità dei numeri è però un’altra: dal 1999 a oggi sono stati finanziati 11mila progetti per la riduzione del rischio idrogeologico, ma quelli ultimati sono meno della metà. Un dato che dimostra che il cambiamento climatico non può esser l’ombrello con cui i politici e gli amministratori di questo Paese riparano se stessi da ogni responsabilità, attuale e storica, dal governo Renzi e prima ancora fino al governo Meloni di oggi. Lo abbiamo scritto ieri: nell’arco di 20 anni e 14 governi, a fronte di 6 milioni di persone che vivono in aree a rischio alluvionale, la spesa effettiva per opere di prevenzione del rischio idrogeologico si è fermata a 7 miliardi, un quarto dei 26 miliardi certi e (certificati) necessari a rinforzare argini, costruire scolmatori e casse di espansione per le piene, allargare i canali tombati, tirar su muri di contenimento. Per fare, dunque, ciò che avrebbe evitato le stragi da nubifragio di ieri e di oggi.
Negli specchi di palude dell’Emilia Romagna si riflette in queste ore un Paese che convive con il rischio e piange l’ennesima tragedia evitabile. Se volete farvi davvero del male potete navigare le banche dati sulle zone a rischio e sulla spesa effettiva per evitarlo realizzate dall’Ispra. Tolgono ogni alibi ai decisori pubblici quelli sulle aree esposte a eventi alluvionali e franosi raccolti nella piattaforma IdroGeo: con il 70% della popolazione e del territorio esposti, l’Emilia-Romagna svetta nella classifica nazionale dei territori potenzialmente allagabili (45,6%), seguita dalla Calabria (17,2%), Marche, Abruzzo e tutte le altre. Quella di oggi, insomma, è ancora un’Italia da bollino rosso per un milione di famiglie, 2,4 milioni di persone, che vivono in aree alluvionali a pericolosità “elevata”. L’Italia, Repubblica fondata sul rischio.
Ma è dal censimento delle spesa effettiva e delle opere realizzate/incompiute che saltano fuori i numeri impressionanti, definitivi e vergognosi che inchiodano tutto il ceto politico dell’Italia lungo due lustri e 14 governi. Sono monitorati da Ispra nel suo Repertorio Nazionale degli interventi per la difesa del suolo (RenDis): negli ultimi 20 anni in Italia sono stati finanziati 11.204 progetti impegnando 10,5 miliardi (e poi diremo perché 10 e non 7) ma ad oggi soltanto 4.800 interventi sono stati ultimati, con una spesa effettiva di 3,6 miliardi. Dal totale van tolti 1.800 ancora in fase di progettazione, 1.434 in fase di esecuzione, 208 revocati. Di ben 2.607 interventi poi non si hanno proprio notizie, i relativi dati “non sono disponibili” anche se cubano 2 miliardi di risorse. Guardando alla sola Emilia-Romagna, dal 1999 al 2023 sono stati finanziati 529 progetti di messa in sicurezza con un impegno spesa di 561 milioni di euro, ma solo 368 sono stati ultimati spendendo: all’appello mancano 161 interventi che valgono 258 milioni, oltre la metà dei soldi destinati alla regione.
Soldi che nel quadro nazionale, tolte le opere consegnate e in corso di progettazione/esecuzione, totalizzano 2,6 miliardi di euro bloccati su progetti strozzati da procedure burocratiche o incagli sulle competenze, criticità puntualmente segnalate dalla Corte dei Conti negli anni. La durata media complessiva degli interventi finanziati non mostra sostanziali progressi né differenze tra le diverse aree geografiche del Paese: gli interventi finanziati nel Centro hanno tempi di attuazione medi di 4,6 anni. Più aumenta il tempo di realizzazione, più sale il costo.
Venendo ai giorni nostri, l’intervento più radicale in materia è stato il “ProteggItalia”. Un Piano nazionale per la “mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale” da 14,3 miliardi di euro in 12 anni fino al 2030. Una svolta nelle intenzioni del primo governo Conte che il M5S annunciava come una “misura storica” e non a torto, visti i precedenti e lo stato delle cose. Il 20 febbraio 2019 arriva dunque il decreto che promette una svolta radicale sugli investimenti per la mitigazione del rischio idrogeologico, agendo sul fronte dei fondi, delle competenze e delle procedure che dovevano essere finalmente improntate non a rincorrere l’emergenza ma a una programmazione pluriennale con un ottica sistemica e funzionale. In parte ha funzionato. Negli ultimi 5 anni, dal 2019 al 2023, gli interventi ultimati in tutta Italia sono stati solo 597 con una spesa effettiva di 308 milioni, pari a una media di 61 milioni l’anno anziché 1,1 miliardi come prevedeva il ProteggItalia.
Parimenti lontano dall’obbiettivo era arrivato il tentativo di centralizzare la gestione della materia con una cabina di regia a Palazzo Chigi. Ci provò Matteo Renzi nel maggio del 2014 istituendo una specifica unità di missione “contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche” in seno alla Presidenza del Consiglio chiamata ItaliaSicura. La struttura è stata operativa fino a luglio 2018 e poteva contare su 7,7 miliardi di euro. Fino a quando il governo Lega-M5S la chiuse (con il decreto-legge n.86 del 2018) e trasferì le sue competenze al Ministero dell’Ambiente. Oggi si assiste al rimpallo di responsabilità, ma i numeri dicono che né prima né dopo l’accelerazione promessa è arrivata: nel periodo di ItaliaSicura (2014-2018) sono stati ultimati 163 progetti su 405 finanziati.
Ecco dunque le cifre che raccontano di un Paese che non vuol imparare da se stesso e dal suo passato. Le ragioni non politiche ma tecnico-procedurali le racconta ancora una volta la Corte dei Conti. L’ultima analisi su progressi e criticità in materia risale all’autunno 2021, con un giudizio grave e preoccupato. Per i magistrati contabili il “ProteggItalia“ ha certo avuto il pregio di “unificare il quadro generale dei finanziamenti, ma non ha risolto i problemi dell’unificazione dei criteri e delle procedure di spesa, dell’unicità del monitoraggio e dell’accelerazione della spesa”. Qualche dato. Quando si tira una linea su 3,1 miliardi per la voce “misure di emergenza”, che sono di competenza della Protezione Civile e dei 18 commissari delegati per il triennio 2019-2021, il differenziale tra le risorse stanziate per progetti approvati e i pagamenti effettuati (rilevati dal numero di gare avviate e dai relativi importi finanziati che entrano nel ciclo di realizzazione delle opere) è inferiore alla metà: 1 miliardo su 2,2. Alla voce “misure di prevenzione”, di competenza stavolta del ministero dell’Ambiente, si registrano altri ritardi, ad esempio per quelle a valere sui fondi del “Programma di Sviluppo Rurale Nazionale”: su 356 milioni di progetti finanziati il totale nel biennio 2019-2020 pagato è di 77,3 milioni, in pratica dei 35 progetti finanziati ancora nel 2019 solo 23 hanno concluso l’iter con il pagamento, pari al pari al 21,7 per cento della “dote”.
Per questo l’indagine mette ancora una volta sotto la lente le “inefficienze del sistema”: l’incapacità delle Regioni di definire a monte gli interventi prioritari, distinguendo emergenza e prevenzione, i lunghi iter concertativi tra amministrazioni, i tempi biblici che passano dalla progettazione al collaudo (in media oltre 4 anni ma con punte di 7-10), la governance spaccata tra commissari regionali, ente locale e amministrazione centrale che eroga i fondi, la carenza di strutture tecniche e personale e via dicendo. E qui veniamo a governanti più recenti. Proprio ieri si ricordava come alcuni temi, quando fa bel tempo, scivolino fatalmente via dall’agenda politica, la stessa che poi tenta il riscatto a suon di proclami. Ecco due esempi. Attende ancora un decreto la legge 233/2021 del governo Draghi che prevedeva (all’art. 16, comma 3) “l’individuazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico nelle regioni del centro-nord”. Non è stato ancora dottato il decreto attuativo della legge che converte la 186/2022 del governo Meloni che stanziava 2,5 milioni per formare e reclutare personale a tempo indeterminato “per potenziare le attività finalizzate a mitigare il rischio idrogeologico e rafforzare il contingente dell’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino meridionale”. Come sempre, meglio dare la colpa al clima. Peggio di sempre, darla agli ambientalisti come ha fatto il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin, il primo a doversi preoccupare di tutto questo anziché provocare l’unica risata in un fiume di lacrime.
Politica
La grande beffa della prevenzione del rischio: in 20 anni 11mila progetti finanziati e meno della metà realizzati. E non è colpa del clima
Eppure i soldi per mettere mano all’Italia che si allaga, frana e uccide ci sono. E ci sono pure piani straordinari per usarli. Hanno nomi trionfali e rassicuranti, da “ItaliaSicura” a “ProteggItalia“, per citare i più recenti. La verità dei numeri è però un’altra: dal 1999 a oggi sono stati finanziati 11mila progetti per la riduzione del rischio idrogeologico, ma quelli ultimati sono meno della metà. Un dato che dimostra che il cambiamento climatico non può esser l’ombrello con cui i politici e gli amministratori di questo Paese riparano se stessi da ogni responsabilità, attuale e storica, dal governo Renzi e prima ancora fino al governo Meloni di oggi. Lo abbiamo scritto ieri: nell’arco di 20 anni e 14 governi, a fronte di 6 milioni di persone che vivono in aree a rischio alluvionale, la spesa effettiva per opere di prevenzione del rischio idrogeologico si è fermata a 7 miliardi, un quarto dei 26 miliardi certi e (certificati) necessari a rinforzare argini, costruire scolmatori e casse di espansione per le piene, allargare i canali tombati, tirar su muri di contenimento. Per fare, dunque, ciò che avrebbe evitato le stragi da nubifragio di ieri e di oggi.
Negli specchi di palude dell’Emilia Romagna si riflette in queste ore un Paese che convive con il rischio e piange l’ennesima tragedia evitabile. Se volete farvi davvero del male potete navigare le banche dati sulle zone a rischio e sulla spesa effettiva per evitarlo realizzate dall’Ispra. Tolgono ogni alibi ai decisori pubblici quelli sulle aree esposte a eventi alluvionali e franosi raccolti nella piattaforma IdroGeo: con il 70% della popolazione e del territorio esposti, l’Emilia-Romagna svetta nella classifica nazionale dei territori potenzialmente allagabili (45,6%), seguita dalla Calabria (17,2%), Marche, Abruzzo e tutte le altre. Quella di oggi, insomma, è ancora un’Italia da bollino rosso per un milione di famiglie, 2,4 milioni di persone, che vivono in aree alluvionali a pericolosità “elevata”. L’Italia, Repubblica fondata sul rischio.
Ma è dal censimento delle spesa effettiva e delle opere realizzate/incompiute che saltano fuori i numeri impressionanti, definitivi e vergognosi che inchiodano tutto il ceto politico dell’Italia lungo due lustri e 14 governi. Sono monitorati da Ispra nel suo Repertorio Nazionale degli interventi per la difesa del suolo (RenDis): negli ultimi 20 anni in Italia sono stati finanziati 11.204 progetti impegnando 10,5 miliardi (e poi diremo perché 10 e non 7) ma ad oggi soltanto 4.800 interventi sono stati ultimati, con una spesa effettiva di 3,6 miliardi. Dal totale van tolti 1.800 ancora in fase di progettazione, 1.434 in fase di esecuzione, 208 revocati. Di ben 2.607 interventi poi non si hanno proprio notizie, i relativi dati “non sono disponibili” anche se cubano 2 miliardi di risorse. Guardando alla sola Emilia-Romagna, dal 1999 al 2023 sono stati finanziati 529 progetti di messa in sicurezza con un impegno spesa di 561 milioni di euro, ma solo 368 sono stati ultimati spendendo: all’appello mancano 161 interventi che valgono 258 milioni, oltre la metà dei soldi destinati alla regione.
Soldi che nel quadro nazionale, tolte le opere consegnate e in corso di progettazione/esecuzione, totalizzano 2,6 miliardi di euro bloccati su progetti strozzati da procedure burocratiche o incagli sulle competenze, criticità puntualmente segnalate dalla Corte dei Conti negli anni. La durata media complessiva degli interventi finanziati non mostra sostanziali progressi né differenze tra le diverse aree geografiche del Paese: gli interventi finanziati nel Centro hanno tempi di attuazione medi di 4,6 anni. Più aumenta il tempo di realizzazione, più sale il costo.
Venendo ai giorni nostri, l’intervento più radicale in materia è stato il “ProteggItalia”. Un Piano nazionale per la “mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale” da 14,3 miliardi di euro in 12 anni fino al 2030. Una svolta nelle intenzioni del primo governo Conte che il M5S annunciava come una “misura storica” e non a torto, visti i precedenti e lo stato delle cose. Il 20 febbraio 2019 arriva dunque il decreto che promette una svolta radicale sugli investimenti per la mitigazione del rischio idrogeologico, agendo sul fronte dei fondi, delle competenze e delle procedure che dovevano essere finalmente improntate non a rincorrere l’emergenza ma a una programmazione pluriennale con un ottica sistemica e funzionale. In parte ha funzionato. Negli ultimi 5 anni, dal 2019 al 2023, gli interventi ultimati in tutta Italia sono stati solo 597 con una spesa effettiva di 308 milioni, pari a una media di 61 milioni l’anno anziché 1,1 miliardi come prevedeva il ProteggItalia.
Parimenti lontano dall’obbiettivo era arrivato il tentativo di centralizzare la gestione della materia con una cabina di regia a Palazzo Chigi. Ci provò Matteo Renzi nel maggio del 2014 istituendo una specifica unità di missione “contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche” in seno alla Presidenza del Consiglio chiamata ItaliaSicura. La struttura è stata operativa fino a luglio 2018 e poteva contare su 7,7 miliardi di euro. Fino a quando il governo Lega-M5S la chiuse (con il decreto-legge n.86 del 2018) e trasferì le sue competenze al Ministero dell’Ambiente. Oggi si assiste al rimpallo di responsabilità, ma i numeri dicono che né prima né dopo l’accelerazione promessa è arrivata: nel periodo di ItaliaSicura (2014-2018) sono stati ultimati 163 progetti su 405 finanziati.
Ecco dunque le cifre che raccontano di un Paese che non vuol imparare da se stesso e dal suo passato. Le ragioni non politiche ma tecnico-procedurali le racconta ancora una volta la Corte dei Conti. L’ultima analisi su progressi e criticità in materia risale all’autunno 2021, con un giudizio grave e preoccupato. Per i magistrati contabili il “ProteggItalia“ ha certo avuto il pregio di “unificare il quadro generale dei finanziamenti, ma non ha risolto i problemi dell’unificazione dei criteri e delle procedure di spesa, dell’unicità del monitoraggio e dell’accelerazione della spesa”. Qualche dato. Quando si tira una linea su 3,1 miliardi per la voce “misure di emergenza”, che sono di competenza della Protezione Civile e dei 18 commissari delegati per il triennio 2019-2021, il differenziale tra le risorse stanziate per progetti approvati e i pagamenti effettuati (rilevati dal numero di gare avviate e dai relativi importi finanziati che entrano nel ciclo di realizzazione delle opere) è inferiore alla metà: 1 miliardo su 2,2. Alla voce “misure di prevenzione”, di competenza stavolta del ministero dell’Ambiente, si registrano altri ritardi, ad esempio per quelle a valere sui fondi del “Programma di Sviluppo Rurale Nazionale”: su 356 milioni di progetti finanziati il totale nel biennio 2019-2020 pagato è di 77,3 milioni, in pratica dei 35 progetti finanziati ancora nel 2019 solo 23 hanno concluso l’iter con il pagamento, pari al pari al 21,7 per cento della “dote”.
Per questo l’indagine mette ancora una volta sotto la lente le “inefficienze del sistema”: l’incapacità delle Regioni di definire a monte gli interventi prioritari, distinguendo emergenza e prevenzione, i lunghi iter concertativi tra amministrazioni, i tempi biblici che passano dalla progettazione al collaudo (in media oltre 4 anni ma con punte di 7-10), la governance spaccata tra commissari regionali, ente locale e amministrazione centrale che eroga i fondi, la carenza di strutture tecniche e personale e via dicendo. E qui veniamo a governanti più recenti. Proprio ieri si ricordava come alcuni temi, quando fa bel tempo, scivolino fatalmente via dall’agenda politica, la stessa che poi tenta il riscatto a suon di proclami. Ecco due esempi. Attende ancora un decreto la legge 233/2021 del governo Draghi che prevedeva (all’art. 16, comma 3) “l’individuazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico nelle regioni del centro-nord”. Non è stato ancora dottato il decreto attuativo della legge che converte la 186/2022 del governo Meloni che stanziava 2,5 milioni per formare e reclutare personale a tempo indeterminato “per potenziare le attività finalizzate a mitigare il rischio idrogeologico e rafforzare il contingente dell’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino meridionale”. Come sempre, meglio dare la colpa al clima. Peggio di sempre, darla agli ambientalisti come ha fatto il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin, il primo a doversi preoccupare di tutto questo anziché provocare l’unica risata in un fiume di lacrime.
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Milano, 10 mar. (Adnkronos) - Due uomini sono stati fermati per l'omicidio di Luciano Muttoni, trovato senza vita ieri, domenica 9 marzo, nel suo appartamento a Valbrembo, in provincia di Bergamo, con ferite alla testa. I due fermati sono un venticinquenne di Bergamo, già noto alle forze dell'ordine e un ventiquattrenne di origini polacche residente in provincia di Monza e Brianza.
Il primo fermato ha reso "spontanee dichiarazioni ammettendo le proprie responsabilità e fornendo anche indicazioni utili al ritrovamento del proprio giubbotto macchiato di sangue, di alcuni documenti sottratti alla vittima e dell’arma del delitto, una pistola scacciacani con cui ha colpito più volte la vittima al capo, oltre ad averla percossa con pugni e calci alla testa, causandole gravi ferite a seguito delle quali la vittima è deceduta" si legge in una nota dei carabinieri del Comando Provinciale di Bergamo.
Il secondo è stato prelevato questa mattina in una comunità terapeutica in provincia di Monza Brianza dove svolgeva attività di aiuto educatore, ed ha reso anche lui spontanee dichiarazioni ai militari, "concordanti" con quelle del presunto complice. I due hanno agito per rapina e la vittima ha pagato con la vita il suo tentativo di reazione. (segue)
Milano, 10 mar. (Adnkronos) - E' stata disposta per mercoledì 12 marzo l'autopsia di Carmine Gallo, l'ex superpoliziotto protagonista per decenni a Milano della lotta alla criminalità organizzata e ai domiciliari dallo scorso ottobre nell'indagine della Dda sulla società Equalize sui presunti dossier illeciti. Il 66enne morto ieri nella sua abitazione a Garbagnate Milanese sarà sottoposto a esame autoptico, compresi i controlli tossicologici, per accertare che si sia trattato di infarto, unica ipotesi a cui credono gli inquirenti.
Verona, 10 mar. - (Adnkronos) - Da domani martedì 11 fino a venerdì 14 marzo prenderà il via la quarta edizione di LetExpo, la fiera di riferimento per i trasporti, la logistica, i servizi alle imprese e la sostenibilità. Promossa da ALIS in collaborazione con Veronafiere, LetExpo rappresenta l’evento nazionale e internazionale di riferimento della filiera, con un focus sulle attuali dinamiche geopolitiche e sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale.
L’evento si aprirà con la relazione introduttiva di Guido Grimaldi, presidente ALIS, e i saluti di Federico Bricolo, presidente di Veronafiere, domani alle 11, al padiglione 5. LetExpo si svolgerà su un’area espositiva di oltre 60.000 m², all’interno della quale interverranno i due Vicepresidenti del Consiglio dei Ministri Antonio Tajani (martedì 11 marzo) e Matteo Salvini (mercoledì 12 marzo). Tra i ministri che parteciperanno all’evento figurano Guido Crosetto, Ministro della Difesa; Gilberto Pichetto Fratin, Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica; Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste; Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy; Daniela Santanchè, Ministro del Turismo; Tommaso Foti, Ministro per gli Affari Europei, il PNRR e le Politiche di Coesione; Maria Elisabetta Alberti Casellati, Ministro per le Riforme Istituzionali e la Semplificazione Normativa; Marina Elvira Calderone, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e Alessandra Locatelli, Ministro per le Disabilità.
Interverranno anche numerose autorità ed esponenti istituzionali, tra cui, Edoardo Rixi, Viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti; Edmondo Cirielli, Viceministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; Maurizio Leo, Viceministro all’Economia e alle Finanze; Vannia Gava, Viceministro all’Ambiente e alla Sicurezza Energetica; Massimo Bitonci, Sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy; Matteo Perego Di Cremnago, Sottosegretario di Stato alla Difesa; Maria Tripodi, Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri e alla Cooperazione Internazionale; Paola Frassinetti, Sottosegretario di Stato all’Istruzione e al Merito; Claudio Durigon, Sottosegretario di Stato al Lavoro e alle Politiche; Sandra Savino, Sottosegretario di Stato all’Economia e alle Finanze; Luca Zaia, Presidente della Regione Veneto; Damiano Tommasi, Sindaco Comune di Verona; Luigi Di Maio, Rappresentante Speciale UE per la Regione del Golfo e Enrico Letta, Decano della IE School of Politics, Economics and Global Affairs – IE University, e molti altri.
Dopo aver registrato oltre 100.000 visitatori nelle edizioni precedenti con 400 espositori e 350 relatori, LetExpo 2025 si conferma come l’evento di riferimento per il settore per raccontare il presente del trasporto e della logistica, affrontando le sfide e le opportunità del futuro.
Roma, 10 mar. (Adnkronos Salute) - Grave lutto nella famiglia reale del Lussemburgo. E' morto a 22 anni il principe Federico, che da tempo lottava contro una malattia rara: la Polg. Il ragazzo è riuscito in questi anni a fondare, ne era direttore creativo, un'associazione ('The Polg Foundation') dedicata alla ricerca e allo studio di questa patologia genetica "che priva le cellule del corpo di energia, causando a sua volta una progressiva disfunzione e insufficienza di più organi.
Si potrebbe paragonare ad avere una batteria difettosa che non si ricarica mai completamente ed è in un costante stato di esaurimento", si legge sul sito di The Polg Foundation che raccoglie fondi per la ricerca che "potrebbe avere effetti su altre malattie dal Parkinson al cancro".
"I mitocondri sono le centrali elettriche della cellula" e convertono "il cibo che mangiamo nel tipo di energia di cui il nostro corpo ha bisogno per funzionare. Oltre a essere fragili, una particolarità di questi organelli è che contengono il loro Dna che, per replicarsi, richiede un enzima (polimerasi γ; 'Polg') codificato nei geni Polg e Polg2 della cellula ospite - continua l'associazione - Le mutazioni in quei geni (a oggi se ne conoscono circa 200) compromettono l'efficiente replicazione del Dna mitocondriale, causando sintomi che possono iniziare dalla prima infanzia all'età adulta".
I sintomi, che possono essere da lievi a gravi, includono più spesso l'oftalmoplegia, una debolezza muscolare, l'epilessia e l'insufficienza epatica. Poiché la malattia Polg provoca una gamma così ampia di sintomi e colpisce così tanti sistemi di organi diversi, è molto difficile da diagnosticare e curare". Inoltre, a oggi si sa poco su cosa causi esattamente la comparsa clinica della malattia e quali fattori esterni contribuiscano allo sviluppo dei sintomi e alla loro gravità: mancano ancora terapie modificatrici o curative della patologia.
La Polg rientra nell'ambito delle malattie mitocrondriali che colpiscono circa 5mila persone nel mondo, rendendo questo gruppo di patologie la seconda malattia genetica grave più comunemente diagnosticata, dopo la fibrosi cistica. "Supportando la ricerca specifica sulla disfunzione mitocondriale riscontrata nelle mutazioni Polg, stiamo anche creando - conclude The Polg Foundation - un corpus di conoscenze che può informare lo sviluppo di trattamenti e potenziali cure per una varietà di altre malattie, tra cui Alzheimer, Parkinson, diabete, malattie cardiache, depressione, alcuni tumori e l'invecchiamento in generale. Pertanto, il risultato di questo impegno sarà di vasta portata e di impatto oltre la Polg".
Roma, 10 mar. - (Adnkronos) - Presente in Italia dal 2003, Hisense ha chiuso lo scorso anno con risultati eccellenti nel nostro mercato con un fatturato di 3,1 miliardi di euro e una crescita annua del 33%. Il settore TV ha terminato con una quota di mercato in volume del 12,5%, pari a un incremento di 3,1 punti percentuali rispetto all’anno precedente, e quota di mercato in valore dell’11,9% (+3,5 punti percentuali), entrambi i migliori risultati del settore.
A gennaio 2025, peraltro, la quota di mercato in volume ha superato il 15%, posizionando Hisense al secondo posto nel settore. Anche nel segmento premium, il brand cinese ha registrato ottimi risultati: nel 2024, la quota di mercato in valore dei prodotti di fascia medio-alta ha raggiunto l’8,4%, con un aumento di 4,1 punti percentuali, il più alto del settore. Nel segmento dei TV di grandi dimensioni (98 pollici e oltre), la quota di mercato in volume ha raggiunto il 37,8%, classificandosi al primo posto nel settore, con un ulteriore incremento al 40,4% nel gennaio 2025. Anche il settore frigoriferi ha registrato una crescita costante, con una quota di mercato del 6,7% nel 2024, salendo al quarto posto nel settore, con un continuo miglioramento della struttura dei prodotti.
Per quanto riguarda l'espansione della rete distributiva, i prodotti Hisense sono presenti in oltre 1.200 negozi in Italia, con una copertura dell’84%. Nel 2024 sono stati aggiunti oltre 500 nuovi punti vendita con marchio Hisense, inclusi negozi flagship. Nei principali canali di vendita come Mediaworld e Unieuro, il fatturato delle TV Hisense è aumentato del 46% su base annua, con una crescita del 95% nel segmento di fascia medio-alta; il fatturato dei frigoriferi è aumentato del 27%, con una crescita del 43% nel segmento premium. Inoltre, nel 2024 il gruppo ha inaugurato il suo centro europeo di ricerca e sviluppo HVAC (riscaldamento, ventilazione e condizionamento) a Milano, con attività di ricerca che coprono prodotti residenziali, commerciali leggeri, VRF (sistemi di climatizzazione a flusso variabile) e pompe di calore, rafforzando ulteriormente la sua capacità tecnologica nel mercato italiano.
Il gruppo Hisense ha peraltro partecipato di recente alle 'Due Sessioni 2025' - che si sono tenute a marzo - ovvero il più importante evento del calendario politico cinese. Il presidente del gruppo, Jia Shaoqian, delegato dell’Assemblea Nazionale del Popolo, è intervenuto per sottolineare l'importanza di rafforzare il ruolo delle imprese come protagoniste dell’innovazione tecnologica. Jia ha anche sostenuto l'esigenza di una profonda integrazione tra innovazione tecnologica e innovazione industriale proponendo di istituire un meccanismo di valutazione differenziata per i laboratori aziendali, così da incentivare l’uscita dei risultati scientifici dai laboratori per essere applicati nelle linee di produzione attraverso innovazioni normative.
Per Jia Shaoqian la creazione di una nuova produttività non può prescindere né dall’innovazione originale né dall’industrializzazione: di qui la necessità di connettere in modo efficace il laboratorio alla produzione come fa appunto Hisense. Un esempio, la tecnologia di visualizzazione avanzata RGB-Mini LED, che dopo essere rimasta confinata ai laboratori a causa di limiti tecnici, è stata perfezionata da Hisense che ne ha quindi promosso la prima produzione di massa al mondo, rafforzando la posizione della Cina nel settore dei display di nuova generazione.
Rimini, 10 mar- (Adnkronos) - "La nostra strategia si basa su un modello di partnership win-win, di lungo periodo e a investimenti zero per i nostri clienti. Per fare questo creiamo alleanze con tutti i principali operatori di settore, come sviluppatori, Esco, studi di progettazione, advisor che sono partner fondamentali in tutti i territori in cui operiamo. Per questo il nostro motto è 'Energy. Solutions. Together'". Così Federico Longo, Head of Sales Marketing di Elevion Group - Italia, all'Adnkronos, in occasione della partecipazione a Key 2025 (5-7 marzo, Fiera di Rimini).
Elevion è un gruppo attivo in Europa per la realizzazione di soluzioni integrate per la decarbonizzazione e l’efficienza energetica. Dalla sua fondazione nel 2020, si è consolidato in diversi mercati europei (compresi i Paesi Bassi, la Germania, l'Austria, l'Italia, Polonia, Romania e Ungheria) dove opera attraverso oltre 60 società indipendenti altamente specializzate, ma con la solidità finanziaria di un gruppo internazionale: con oltre 4500 dipendenti, 6000 progetti e 500 MW di nuovi impianti fotovoltaici costruiti ogni anno in tutta Europa, 2000 MWp di fotovoltaico in O&M, e 1,2 miliardi di ricavi realizzati nel 2024.
"Operiamo in Italia con un approccio B2B e ci rivolgiamo alle industrie energivore - in particolare dell’agroalimentare, del packaging, dell’acciaio e delle cartiere - ma anche al settore terziario, ospedali, grandi centri sportivi, enti fieristici e centri commerciali. Realizziamo soluzioni integrate e su misura in base alle esigenze specifiche del cliente, combinando le migliori tecnologie disponibili sul mercato come trigenerazione e pompe di calore, fino alla produzione di energia sostenibile, dal biometano al fotovoltaico con batterie", spiega.
"Partiamo dalla consapevolezza che fare efficienza energetica e decarbonizzazione è un processo complesso che richiede l’integrazione di competenze e capacità diversificate - dice - Come gruppo, abbiamo progettato la nostra struttura per gestire da un'unica posizione tutta la portata e le complessità richieste da seri sforzi di decarbonizzazione e soddisfare nel tempo tutte le complessità e le esigenze del processo tecnico".
"Per noi, una transizione energetica giusta è una transizione sostenibile, che genera vantaggi per tutti i soggetti coinvolti. Ciò vuol dire aiutare i nostri clienti e partner a concentrarsi sul loro core business, mentre noi ci occupiamo di garantire una gestione efficiente dell’energia. Per questo investiamo nei progetti dei nostri clienti, che non devono intervenire con capitali propri, possono beneficiare di un controllo adeguato dei costi per l’energia e rimanere competitivi sul mercato", conclude.
Rimini, 10 mar- (Adnkronos) - "La nostra strategia si basa su un modello di partnership win-win, di lungo periodo e a investimenti zero per i nostri clienti. Per fare questo creiamo alleanze con tutti i principali operatori di settore, come sviluppatori, Esco, studi di progettazione, advisor che sono partner fondamentali in tutti i territori in cui operiamo. Per questo il nostro motto è 'Energy. Solutions. Together'". Così Federico Longo, Head of Sales Marketing di Elevion Group - Italia, all'Adnkronos, in occasione della partecipazione a Key 2025 (5-7 marzo, Fiera di Rimini).
Elevion è un gruppo attivo in Europa per la realizzazione di soluzioni integrate per la decarbonizzazione e l’efficienza energetica. Dalla sua fondazione nel 2020, si è consolidato in diversi mercati europei (compresi i Paesi Bassi, la Germania, l'Austria, l'Italia, Polonia, Romania e Ungheria) dove opera attraverso oltre 60 società indipendenti altamente specializzate, ma con la solidità finanziaria di un gruppo internazionale: con oltre 4500 dipendenti, 6000 progetti e 500 MW di nuovi impianti fotovoltaici costruiti ogni anno in tutta Europa, 2000 MWp di fotovoltaico in O&M, e 1,2 miliardi di ricavi realizzati nel 2024.
"Operiamo in Italia con un approccio B2B e ci rivolgiamo alle industrie energivore - in particolare dell’agroalimentare, del packaging, dell’acciaio e delle cartiere - ma anche al settore terziario, ospedali, grandi centri sportivi, enti fieristici e centri commerciali. Realizziamo soluzioni integrate e su misura in base alle esigenze specifiche del cliente, combinando le migliori tecnologie disponibili sul mercato come trigenerazione e pompe di calore, fino alla produzione di energia sostenibile, dal biometano al fotovoltaico con batterie", spiega.
"Partiamo dalla consapevolezza che fare efficienza energetica e decarbonizzazione è un processo complesso che richiede l’integrazione di competenze e capacità diversificate - dice - Come gruppo, abbiamo progettato la nostra struttura per gestire da un'unica posizione tutta la portata e le complessità richieste da seri sforzi di decarbonizzazione e soddisfare nel tempo tutte le complessità e le esigenze del processo tecnico".
"Per noi, una transizione energetica giusta è una transizione sostenibile, che genera vantaggi per tutti i soggetti coinvolti. Ciò vuol dire aiutare i nostri clienti e partner a concentrarsi sul loro core business, mentre noi ci occupiamo di garantire una gestione efficiente dell’energia. Per questo investiamo nei progetti dei nostri clienti, che non devono intervenire con capitali propri, possono beneficiare di un controllo adeguato dei costi per l’energia e rimanere competitivi sul mercato", conclude.