Buone abitudini di vita. Non fumo, non bevo alcolici, cammino 30 minuti ogni sera, esercito la mente“: Silvio Garattini, 94 anni, si presenta così al Corriere della Sera, svelando il segreto della sua longevità. Oncologo, farmacologo e ricercatore, presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, che fondò il 1° febbraio 1963, e che ad oggi vanta più di 900 dipendenti, Garattini racconta le attività della sua “creatura”, “la più grande fondazione di farmacologia che esista al mondo” – dichiara -, che si occupa da anni di ricerca sui medicinali e di formazione. Il nome dell‘Istituto, svela l’oncologo nel corso dell’intervista, sarebbe riconducibile a tal Mario Negri, gioielliere di Via Monte Napoleone, che “Nel 1958 – racconta Garattini – venne da me per un consiglio: aveva investito nella Burroughs Wellcome, industria farmaceutica britannica senza scopo di lucro. Gli chiesi di aiutarmi a costituire una fondazione no profit. L’anno dopo Negri si ammalò di tumore. In punto di morte, mi chiamò: ‘Professore, volevo dirle che ho fatto tutto secondo i suoi desideri’. Nel 1960, all’apertura del testamento, scoprii che mi aveva lasciato 100 milioni di lire e le azioni della Farmacosmici. A valori di oggi, 14 milioni di euro“.

Un’eredità importante, che diede il via a una fondazione che non ha esitato nel corso degli anni a prendere posizione, denunciando gli effetti nocivi di alcuni prodotti in commercio, come nel 1993, quando Garattini – ricorda – fece perdere “3000 miliardi di lire all’industria farmaceutica”, che comportò un calo della spesa pubblica “da 12.000 a 9.000 miliardi”. I prodotti che per il farmacologo sarebbero da eliminare dal commercio sono i “dimagranti, antiossidanti, epatoprotettori, immunostimolanti, vasodilatatori, antiradicali liberi, vitamine per la memoria, integratori alimentari a base di minerali, amminoacidi ed erbe”: “Eliminando la metà delle medicine in commercio, – spiega – per i malati non cambierebbe nulla e risparmieremmo 4-5 miliardi di euro su un’uscita annua di 22. Basterebbe rivedere il prontuario terapeutico, mai aggiornato dal 1993″, puntualizza Garattini. Che con la sua filosofia deve essersi attirato più antipatie che simpatie: parlando del suo Istituto, racconta, “Per mantenerci indipendenti, non brevettiamo”. E i finanziamenti arrivano da “Bandi dell’Ue e di enti, fondi ministeriali, lasciti, donazioni, 8 per mille”.

Il farmacologo si sbottona anche sulla sua “routine” quotidiana, che gli consente ancora di lavorare a 94 anni compiuti: “Restrizione calorica, tè e spremute di giorno, mangio solo la sera”. Poi a letto a mezzanotte e sveglia alle 8, altrimenti – si autodenuncia – “dormirei a oltranza”. Un programma ferreo, visto che alle 9 il farmacologo è già all’opera in Istituto, e la sua giornata lavorativa termina alle 17 o 18 ma solo “quando non ci sono altri impegni”. Nessuna tregua nemmeno il sabato e la domenica, dove però spesso si rifugia per lavorare nella casa di Cecanibbi, presso Todi (Perugia). “È triste sentir dire da alcuni: ‘Mi manca solo un anno alla pensione'”, dichiara il pensionato da “2000 euro al mese”.

Uno scienziato atipico, che rivela di non assumere medicine: “Neppure l’aspirina. In caso di tumore accetterei la chemio, nonostante i danni collaterali che provoca”. E si scaglia duramente contro l’omeopatia: “Chi acquisterebbe l’Amarone omeopatico? Conosciamo tutti la differenza fra l’acqua e il vino“. E sulla fine della pandemia da Covid Garattini si dimostra cauto visto che, a detta sua, nessuno può dire se ci siamo effettivamente liberati dal virus, visto che “Circola ancora in molti Paesi, il che ci espone ad altri rischi. Io ho fatto le tre vaccinazioni e la bivalente contro le varianti di Omicron”, dichiara. E sulla futura sconfitta del cancro grazie ai progressi della medicina si dimostra invece più incoraggiante: “Penso che lo sconfiggeremo. Progrediamo, ma non è il giorno prima”. Anche la risposta sul post mortem, per uno che viene da Azione Cattolica (Ero in Gioventù studentesca, ma non quella che poi diventò Comunione e liberazione“, puntualizza), può sembrare “inusuale”: “Mi sono formato in oratorio, è la mia cultura. Ho tanti dubbi. Razionalmente non si può essere né credenti né atei. Ma se ci comportiamo bene, non ne avremo danni“.

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