“Giovanni era bello come il sole, aveva una passione. E oggi merita rispetto”. A parlare è Carlo, papà di Giovanni Iannelli (in foto), ciclista di 22anni morto il 7 ottobre del 2019 durante l’87esima edizione del “Circuito Molinese”, una gara per velocisti che si svolge in provincia di Alessandria, a Molino dei Torti. A poco più di 100 metri dal traguardo Giovanni impatta con un pilastro, sbatte la testa e muore: una dinamica che si vede, parzialmente, anche in un video amatoriale girato nell’occasione. Ma oltre al dolore straziante della perdita di un figlio, un ragazzo di 22 anni e pieno di sogni, a tormentare la famiglia, e in particolare il padre Carlo, è l’assenza di giustizia per la morte di Giovanni, visto che ad oggi un processo per quell’evento non si è mai celebrato.
Un processo per evitare incidenti simili e garantire la sicurezza ai ciclisti e in particolare ai giovani, un processo “per dare giustizia a un ragazzo che aveva passione, che per quella passione è morto – dice il papà a ilfattoquotidiano.it – e che ha voluto donare gli organi, e già per questo merita rispetto e giustizia”. E dunque è una battaglia quella di Carlo portata avanti ormai da 4 anni, perché non solo la morte del ragazzo poteva essere evitata, ma per far emergere tutto ciò che è arrivato dopo e che a suo dire è gravissimo. “Io so di quel che parlo: per 30 anni mi sono occupato di ciclismo, sono stato presidente di una società ciclistica, ho organizzato centinaia e centinaia di gare. Per due legislature sono stato vicepresidente del comitato toscano della Federazione Ciclistica italiana, per 12 anni sono stato giudice negli organi di giustizia della federazione a Roma, eletto e non nominato dall’assemblea nazionale. Ad oggi la Federazione però è la mia controparte: non si può archiviare la morte di mio figlio come un banale fatto di gara, perché non lo è”.
Troppi punti oscuri secondo Carlo Iannelli: “Parliamo di una corsa in un circuito completamente pianeggiante, dove si fanno 115 chilometri a velocità di circa 47 chilometri orari: insomma si va velocissimo. Eppure c’erano solo una cinquantina di metri di transenne”. Transenne che, come visto anche nell’ultimo Giro d’Italia, in occasione di cadute possono salvare la vita ai ciclisti. Le transenne nel punto dove Giovanni impatta col pilastro non c’erano: “È come se Giovanni fosse caduto dal quinto piano. È morto sul colpo, ma è stato tenuto in vita per la donazione degli organi. Sul luogo dell’incidente sono arrivati i carabinieri: hanno scritto di essere arrivati sul posto alle 16.15 mentre la corsa è terminata alle 16.24, se fosse così sarebbero stati praticamente testimoni oculari. Nel verbale, di un incidente mortale, non hanno scritto praticamente nulla, non hanno sentito i numerosi testimoni che erano sul posto, non si sono fatti consegnare le foto dai fotografi, non hanno sentito gli altri ciclisti. Hanno sentito soltanto la giudice di gara in moto”.
E la testimonianza della giudice di gara, come mostrato anche dal servizio televisivo de “Le Iene” sulla vicenda, è un altro dei punti oscuri. Sui contenuti Carlo Iannelli, che è anche avvocato, denuncia per falsa testimonianza: “Denunce che vengono regolarmente archiviate”. Nel merito sono arrivate anche interrogazioni parlamentari come quella del senatore Riccardo Nencini o del senatore leghista Potenti. È in base a questo che il papà di Giovanni non si dà pace: “Ho scritto anche all’ex ministra Cartabia, che non mi ha risposto né mi ha ricevuto quando sono stato al ministero. Giovanni è morto, non me lo restituirà nessuno, lo so bene e questo non è certo il capriccio di Carlo, il babbo di Giovanni: è qualcosa che va oltre la tragedia sportiva e per questo chiedo semplicemente un giusto processo. Chiedo giustizia e chiedo che siano evitate nuove tragedie come quella di Giovanni, perché il tema della sicurezza viene ignorato”.