Cultura

“È nudo”: che scandalo il David! Per la metro di Glasgow si ripete la farsa sul capolavoro di Michelangelo (con ennesima censura)

Nuovi (insopportabili) conati di puritanesimo dopo il recente caso del licenziamento della prof in una scuola americana. Forse è il caso che l'Italia cominci a pensare come muoversi?

David di Michelangelo: altro giro, altro scandalo. Dopo Tallahassee (Florida), adesso è la volta di Glasgow (Scozia). Forse aveva ragione Pietro Cannata, l’ex studente di Estetica del Dams di Bologna che il 15 settembre 1991 prese a martellate il capolavoro di marmo. Se l’avesse ridotto in polvere, a noi oggi resterebbero solo le immagini sui manuali di storia dell’arte e qualche sbiadita foto a colori, ma almeno ci saremmo risparmiati questi conati di puritanesimo che ormai risultano insopportabili, da qualsiasi parte essi provengano.

Appena qualche settimana fa apprendemmo della brutta avventura – conclusasi con il licenziamento – della professoressa Hope, preside rea di aver mostrato la foto del David agli studenti di una classe della Tallahassee Classical School. Lo scandalo aveva fatto il giro del mondo e adesso ecco la notizia dell’agenzia Ansa secondo cui a Glasgow, in Scozia, la pubblicità di un ristorante italiano raffigurante l’opera di Michelangelo destinata alla metropolitana della città è stata censurata in quanto inappropriata per via della sua nudità.

Il cartellone doveva promuovere il locale Barolo, appartenente al gruppo Drg, ma non rispettava i rigidi parametri imposti dall’agenzia Global, responsabile per gli spazi pubblicitari. Drg si è detta inizialmente “sconcertata” per il bando al cartellone che mostrava la scultura rinascimentale con una fetta di pizza e la scritta “non c’è niente di più italiano”. Si è poi sforzata per trovare una soluzione: “Ci hanno chiesto una seconda versione in quanto gli adesivi con la bandiera italiana messi sulla zona inguinale della statua non erano abbastanza grandi”, ha commentato Nadine Carmichael, responsabile al marketing del gruppo. Alla fine è stato faticosamente raggiunto un accordo con Global mostrando la scultura tagliata all’altezza della vita.

Se a questo punto della lettura venisse voglia di sorridere non ci sarebbe niente di male, ma la situazione è assai più complessa. Per almeno due motivi.

Esattamente sei anni fa, la ArmaLite Inc, azienda produttrice di armi con sede nell’Illinois, utilizzò il David di Michelangelo come testimonial per la campagna pubblicitaria del suo AR50A1, un “sofisticato” fucile orgogliosamente prodotto in America. In quel caso le pudenda della scultura furono coperte, digitalmente, da una foglia d’albero, perché evidentemente negli Usa fa più scalpore un pene scolpito rispetto al fucile mitragliatore che, per reclamizzarlo, si arrivava perfino a oltraggiare un capolavoro dell’arte occidentale e un eroe biblico.

Il problema è che dall’altra parte dell’Atlantico si licenziano insegnanti per aver mostrato il David nell’aula di un scuola media classe ma non c’è modo di vietare l’uso sconsiderato, scellerato e irrispettoso e per scopi meramente commerciali di un’opera d’arte proprietà di uno Stato che contrasta in maniera netta la pubblicità delle armi da fuoco, limitandola alle sole rivendite. Il problema ovviamente andrebbe risolto una volta per tutte, anche perché qualche giorno fa – ed ecco il secondo motivo – il Tribunale di Firenze ha sentenziato che “l’immagine dei beni culturali è espressione dell’identità culturale della Nazione”, per cui è ormai realtà anche la tutela dell’immagine della scultura impedendone l’uso illecito per fini commerciali.

Per cui, chi non rispetta tali norme sarà sanzionato. Ma chi controllerà, soprattutto all’estero, dove l’utilizzo delle icone del patrimonio culturale italiano è all’ordine del giorno? Chi censura il David in una scuola della Florida induce all’ignoranza le generazioni future, ma chi mostra il capolavoro di Michelangelo mentre imbraccia un fucile mitragliatore o reca una bandiera italiana sulla zona inguinale, e lo fa per scopi commerciali, commette un reato? Chissà che al Collegio Romano – sede del ministero – non venga voglia di intervenire.