The Dark Side of America. Funziona alla perfezione il calembour di pinkfloydiana evocazione, in cui anche la Luna è tutt’altro che assente, per sintetizzare il senso della nuova fatica di Martin Scorsese, Killers of the Flower Moon, il fiore all’occhiello del 76° Festival di Cannes, che finalmente è stato servito al suo pubblico. Atteso come il messia, è un epico viaggio cinematografico largo e lungo (3 ore e 26’, record di lunghezza nella filmografia del regista newyorkese), teso come una corda di violino, condotto a ritmi alterni fra accelerate jazz, brusche frenate e andamenti medi, capace di alzarsi a vette inimmaginabili per poi atterrare sulla superficie dove navigare a vista. Ma soprattutto è un ferocissimo ritorno al peccato originale dell’America dei bianchi, quello che ha (de)generato la sua coscienza nel momento in cui non solo ha sterminato le popolazioni native, ma si è appropriata delle sue ricchezze con il tradimento, la menzogna, la criminalità senza mezzi termini.
Volendo tentare un paragone solo apparentemente lontano, Killers of the Flower Moon sta a Scorsese come Schindler’s List sta a Spielberg, poiché entrambi sono testi che rielaborano l’origine dei due grandi crimini contro l’umanità della Storia moderna, ferite inflitte alle rispettive comunità di appartenenza, o quanto meno, nel caso di Scorsese, alle popolazioni indigene sul cui sangue si sono costruiti gli Stati Uniti d’America. Certo, poetiche e registri differiscono, ma quanto sta alla base sembra di comune matrice: mettere in scena il Male più subdolo e spietato, da cui estrarre in filigrana la condizione umana sì da comprenderne le più profonde complessità morali e psicologiche. Non per ultimo, il film è una riflessione cristallina su quanto sta alla base del pensare e agire nordamericano, ovvero occidentale: la sete inesauribile di denaro da soddisfare senza scrupoli.
Ispirato al testo di David Grann del 2016, Killers of the Flower Moon: the Osage Murders and the Birth of the FBI, il film drammatizza i reali crimini perpetrati contro gli indiani Osage nell’Oklahoma degli anni ’20. Questa popolazione si era arricchita grazie ai giacimenti di petrolio emersi dal sottosuolo, qualcosa di intollerante per gli eredi degli ex coloni che profetavano – colpevolmente – “il naturale ordine delle cose nella scomparsa di quella gente”. Non sono dunque i gangster mafiosi o i gli assassini psicopatici i “killers” di questo Scorsese, ma sono genericamente tutti quanti in complicità vollero smembrare l’identità e il benessere degli Osage. Genio del Male di tali “killers” è Bill “King” Hale, mediatore ambiguo che con apparente benevolenza gestisce e di fatto “governa” gli Osage: questi attira il nipote Ernest Burkhart – ex soldato nella I guerra mondiale – a fargli da parafulmine, proponendogli il matrimonio con la ricca nativa Mollie. I crimini efferati, specie condotti sulle donne la cui scomparsa garantiva corpose eredità ai mariti bianchi, vennero scoperti dalla nascente FBI, proprio su mandato di un giovane J.Edgar Hoover.
Per confezionare questo oscuro racconto criminale dal sapore epico, Martin Scorsese ha riscritto completamente la sceneggiatura che inizialmente riproponeva punto di vista della fonte letteraria, ovvero l’agente FBI che indagava sui reati. Nella nuova versione, redatta in collaborazione con Eric Roth, il punto di vista è di Ernest, vittima e carnefice insieme dei gesti criminali, uomo fragile e non attrezzato a comprendere i malaffari dello zio. Ma a suo vantaggio ha la capacità di provare sentimenti sinceri, espressi nel grande amore per Mollie, donna di saggezza sorprendente. Per tradurre la complessa dicotomia – che è anche sudditanza psicologica – fra Bill ed Ernest, Scorsese ha accoppiato per la prima volta i suoi due attori feticcio: il primo, Robert De Niro, proveniente dal passato, il secondo, Leonardo Di Caprio, rappresentativo del presente. Sentirli e vederli muoversi e recitare insieme provoca la tempesta perfetta, un corto circuito che ci riporta all’essenza del grande cinema americano, di cui ovviamente Scorsese è protagonista. Ad accompagnarli un gruppo di colleghi di altissimo livello (Jesse Plemons, il neo Oscar Brendan Fraser), ma soprattutto la bella sorpresa del film: Lily Gladstone nei panni di Mollie, una giovane attrice nativa americana il cui talento la porterà a sicuro successo. Prodotto da Apple Studios, Imperative Entertainment, Sikelia Productions, Appian Way, Killers of the Flower Moon uscirà nelle sale italiane il 19 ottobre per 01 Distribution in collaborazione con Leone Film Group e Rai Cinema. Successivamente sarà programmato in streaming planetaria su Apple TV+.