Lo Stivale è diventato un unico lungo estenuante mostrificio. Non mi riferisco solo ai mostri architettonici, ma anche per le centinaia di mostre che si inaugurano in modo compulsivo, parossistico e inquietante in tutta Italia. Alcune sono incomprensibili, assurde, commerciali – anche se presentate come eventi unici, dispensatori di cultura – altre sono indissolubilmente legate al mercato dell’arte, ai galleristi.
Proprietari di quadri e collezioni spingono amministrazioni pubbliche ad organizzarle per rilanciare un artista o un’epoca. Così il bistrattato Ottocento, arrivato ai minimi storici 5 o 6 anni fa, è riproposto in tutte le salse per far lievitare le quotazioni, spinti da galleristi e collezionisti; i musei, a tal fine, si sono inventati riallestimenti di queste sezioni scarsamente visitate. Poi ci sono musei e Palazzi, stracolmi di suppellettili che, magari poco visitati, si sono riciclati come luoghi di mostre, a volte ristrette tra un comò, un tavolino intarsiato, un armadio laccato, un divanetto damascato.
A Torino questo fenomeno è molto diffuso e frequente nelle dimore sabaude e residenze nobiliari, diventate quasi tutte musei ma adesso anche sedi espositive temporanee. Poiché i costi di gestione sono altissimi, si è inventato un modo veloce per fare cassa con il rischio dell’annullamento del valore intrinseco dell’edificio storico, quasi sempre pregevole.
Si smarcano tre sedi: una a pochi km da Torino, la Reggia di Venaria, Palazzo Strozzi a Firenze e le Scuderie del Quirinale a Roma, splendidi contenitori vuoti ed idonei per gli ampi spazi ad allestimenti anche complessi. A Venaria si svolgono spesso mostre simultanee a Venaria, dati gli 80.000 mq; sono spettacolari le sale vuote di Palazzo Strozzi che passa con disinvoltura dal classico come con Donatello al contemporaneo con la collezione di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo; sempre riuscite le mostre alle Scuderie, di cui l’ultima, eccezionale, “L’Arte ritrovata”, curata da Luigi Gallo.
A Torino in questi giorni quattro mostre diversissime tra loro, due in sedi auliche, Palazzo Madama, Museo Accorsi ed un’altra, in una nuova promettente Galleria, la Febo e Dafne, con l’artista Claudio Napoli, che alterna la fotografia al cinema, creando effetti speciali, tanto da ottenere diversi David di Donatello; mostra con composizioni modulari, ottenute con formelle 20*20 che creano effetti ottici quasi ipnotici, quando sono allineati a multipli. Creati digitalmente e con un algoritmo di sua invenzione, Napoli scompone le architetture tra cui quelle razionaliste di Terragni, con cromie abbaglianti. La sua formazione da architetto ed anche da pubblicitario, ed il vivere tra l’Italia e gli Stati Uniti, fanno di lui un artista internazionale di tutto rispetto
Un’altra, al Museo Accorsi che, finalmente ha sfoltito le sale per accogliere la produzione artistica veneziana del XVIII secolo, che è una delle più ricche, variegate e qualificate del panorama europeo. Una delle mete più ambite e predilette del Grand Tour internazionale, Venezia diventa un punto di riferimento per l’Europa intera, in grado di attrarre non solo aristocratici in cerca di svago, ma anche avventurieri, politici e personaggi del mondo dello spettacolo bramosi di notorietà. Il suo nome è associato al concetto di “prodotto di lusso”, tanto nei campi della pittura e della scultura quanto in quelli delle arti decorative: l’ebanisteria, i tessuti, i merletti di Burano e i vetri di Murano e tutti questi aspetti sono visibili nella mostra curata dal direttore Luca Mana che ha realizzato un allestimento finalmente “pulito”, coerente con il contesto.
Altra mostra interessante la si può vedere, nell’iconico Palazzo Madama già sede del primo Parlamento subalpino e anche storia di Augusta Taurinorum e di Torino. Si compenetrano quattro epoche e quattro stili architettonici e come scritto sopra, è uno di quei Palazzi sontuosi, riccamente decorati ed ammobiliati che poco si presterebbe ad ospitare mostre importanti.
Accompagnati dal più dandy dei direttori di Musei, l’entusiasta, erudito, infaticabile, Federico Villa, ho apprezzato una sequenza di opere e reperti collocati per tema e per epoca, anche se in un allestimento un po’ soffocante, come la tavola multi-funzione (sacra e profana) per cerimonie religiose e banchetti, veramente geniale. La mostra si intitola “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario”, dopo il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, è arrivata a Torino, come seconda sede, per illustrare il “millennio bizantino” con il corpus espositivo principale integrato da una sezione dedicata al rapporto con l’area piemontese.
Con oltre 350 opere – sculture, mosaici, affreschi, vasellami, sigilli e monete, straordinari manufatti in ceramica, smalti, oggetti d’argento, preziose gemme e oreficerie, pregevoli elementi architettonici – Palazzo Madama, già castello degli Acaia e dal 1934 sede delle collezioni del Museo Civico d’Arte Antica, proprio dalla cultura e influsso bizantini, principia nella strutturazione delle sue raccolte di arti applicate, tra le più importanti d’Europa, comprendendo preziose oreficerie, avori, vetri dorati e dipinti, tessuti e maioliche.
Otto sezioni tematiche: Lo scudo di Bisanzio (esercito, burocrazia, imperatore e corte), Il quotidiano (oggetti d’uso quotidiano e gioielli), Da Bisanzio a Costantinopoli (commercio, artigianato, monete e fiscalità), L’esercito di Dio (monachesimo e civiltà della scrittura), Lo spazio del sacro (arredo liturgico e iscrizioni funerarie), L’umanesimo di Bisanzio, Quei bizantini dei piemontesi, Da Palazzo Madama a Bisanzio. In questa bulimica, pur se interessante, mostra non resta che non ammirare il palazzo ed i suoi arredi straordinari.
In ultimo, e per finire in bellezza, se vi volete divertire, non resta che andare nel simbolo di Torino, la Mole Antonelliana, alla mostra La Mole delle Meraviglie, dove è celebrata l’inventrice del museo stesso Adriana Prolo che è raffigurata come un cartone animato e come tali sono presentati personaggi iconici quali Antonelli, l’architetto della Mole, Darwin, Lombroso e Greneway, secondo l’interpretazione dell’artista, fumettista Stefano Bessoni, e il direttore del Museo del Cinema, Domenico De Gaetano.