La riduzione del cuneo fiscale del governo Meloni è l’ennesima manovra populista per far credere alle classi medio basse che si sta facendo qualcosa per ridurre le diseguaglianze e per alleviare l’impatto che l’inflazione ha sul loro reddito disponibile.
Ennesima perché prima di Giorgia Meloni questo tipo di ‘propaganda fiscale’ è stata fatta dal governo Monti, dal governo Renzi con il bonus da 80 euro al mese per i redditi fino a 24mila euro, dal governo Conte con l’aumentato del bonus mensile a 100 euro. Poi è arrivato Mario Draghi che ha dato al tutto l’immancabile tocco liberista con un’ulteriore sforbiciata al cuneo accompagnata da una serie di manovre complesse, tra cui anche un assegno unico alle famiglie, manovre che alla fine hanno maggiormente agevolato fiscalmente i ceti più abbienti di quelli più bassi.
Ciononostante, nel 2022 il cuneo fiscale italiano era ancora pari al 45,9 per cento contro una media Ocse del 34,6 per cento. Come mai? La risposta è ben semplice, tutte le riduzioni del cuneo hanno prodotto una spesa aggiuntiva per lo Stato, ossia è essenzialmente aumentato il deficit, e – dato che l’entrata più importante dello Stato è l’Irpef, e cioè le tasse imposte ai lavoratori, seguita da quelle imposte ai datori di lavoro – più sale il debito pubblico meno possibilità ci sono di abbassare le tasse abbattendo le aliquote per portarle in linea con i valori dei paesi membri dell’Unione Europea o dell’Ocse.
Quando Giorgia Meloni parla di aver liberato l’ennesimo misterioso tesoretto si riferisce ad una porzione di debito, decine di miliardi di debito che vengono spostati da una colonna all’altra del bilancio dello Stato.
Per allinearsi con le nazioni dell’Ocse c’è bisogno in primis di una redistribuzione dei redditi e quindi di una riforma fiscale, in secondo luogo è necessario abbandonare la gestione clientelare della ricchezza dello Stato ed infine risolvere il problema dell’evasione fiscale attraverso l’economia in nero. Impegni non indifferenti ma fattibili da una squadra di governo seria, che però nessun premier ha voluto affrontare non perché il sistema è corrotto, né perché le élite tirano le fila dei partiti politici o perché in Italia c’è la la mafia – mi riferisco alla solita cantilena di scuse che viene sciorinata per spiegare che il paese è ingovernabile – ma per il semplice motivo che governare con manovre populiste, ad esempio le riduzioni del cuneo fiscale introdotte, è molto più semplice.
Se davvero si volesse abbattere il peso fiscale sul lavoro e sulle imprese per rilanciare l’economia, allora basterebbe abbattere le aliquote sotto una certa soglia di reddito e, ad esempio, compensare la riduzione del gettito fiscale prodotta, tassando maggiormente il patrimonio. Se si volesse davvero gestire il denaro pubblico intelligentemente allora operazioni come la costruzione dell’autostrada Brebemi, che congiunge Brescia, Bergamo e Milano verrebbe fatta secondo i criteri classici del project financing, con il rischio tutto a carico del consorzio di costruzioni.
Se si volesse davvero attaccare l’evasione e l’economia in nero una sezione dell’agenzia delle entrate dovrebbe essere dedicata esclusivamente alle indagini relative alla denuncia dei redditi di chi è in grado di portare avanti questo tipo di attività, è quello che succede negli Stati Uniti e nel Regno Unito dove per frode fiscale sono finiti dietro le sbarre anche diversi personaggi di grande spicco.
È però chiaro che lo scopo della politica nel nostro paese è un altro…