Il ricordo di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino non sia macchiato dalla “rituale presenza di personaggi che non tralasciano occasione per propagandare la convivenza politico-sociale con ambienti notoriamente in odore di mafia“. È una lettera durissima quella inviata da Alfredo Morvillo all’edizione palermitana di Repubblica, proprio alla vigilia del trentunesimo anniversario della strage di Capaci. Una lunga analisi in cui il magistrato, fratello di Francesca Morvillo e dunque cognato di Falcone, si scaglia contro una parte della città di Palermo: quella che continua a beneficiare di appoggi mafiosi. “Falcone e Borsellino – scrive Morvillo – appartengono soltanto a una piccola parte di Palermo, quella Palermo che porta avanti con grande impegno i loro ben noti ideali. I nostri cari indimenticabili Giovanni e Paolo non appartengono certamente alla Palermo che convive col ‘puzzo del compromesso morale‘, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Questa Palermo abbia la coerenza di non partecipare alle commemorazioni: non lo merita la città, non meritano Falcone e Borsellino che il loro ricordo sia macchiato dalla rituale presenza di personaggi che non tralasciano occasione per propagandare la convivenza politico-sociale con ambienti notoriamente in odore di mafia”.

A chi si riferisce Morvillo? L’ex procuratore capo di Trapani non fa nomi ma parla di” squallido compromesso politico-mafioso, che ha sempre inquinato la vita della città”. E spiega che “se si vuole concretamente dare un seguito alle parole di Paolo Borsellino, dobbiamo adoperarci per tenere lontano dalla nostra vita tutto ciò che ha anche il più lieve odore di mafia. Anche quando queste scelte comportano la rinuncia a godere di quegli aiuti, di quegli appoggi che ben noti ambienti politico-mafiosi sono in grado di assicurare”. Un passaggio che sembra un evidente riferimento ai recenti avvenimenti politici di Palermo e della Sicilia, con Roberto Lagalla e Renato Schifani eletti sindaco e governatore con l’appoggio fondamentale di Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro, rispettivamente condannati in via definitiva per concorso esterno e favoreggiamento alla mafia.

All’inizio della sua analisi Morvillo ricorda una frase di Borsellino: “La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte proprio perché meno appesantite dai condizionamenti e dai ragionamenti utilitaristici che fanno accettare la convivenza col male, le più adatte cioè a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. E quindi il cognato di Falcone commenta: “Attuare un comportamento eticamente disdicevole, come quello di fare accordi con la mafia, dovrebbe comportare, al di là della sanzione penale, una valutazione negativa del consesso sociale, a patto che quest’ultimo creda in quei principi etici violati”. Poi però Morvillo si pone una domanda retorica: “A Palermo aver fatto accordi con la mafia viene ritenuto da tutti un fatto disdicevole? Aver fatto accordi con la mafia dovrebbe significare aver tradito la propria terra, le proprie origini; chi lo ha fatto dovrebbe essere considerato un traditore. Accade tutto questo a Palermo? Aggiungeva Paolo Borsellino che, in un breve periodo di entusiasmo, conseguente ai numerosi arresti originati dalle dichiarazioni di Buscetta, Giovanni Falcone gli disse: La gente fa il tifo per noi. Oggi, nel 2023, nella terra delle stragi, nella terra dove Cosa nostra ha ucciso tanti uomini delle istituzioni, tutti eccezionali servitori dello Stato, tanti comuni cittadini, persino un bambino e addirittura un sacerdote, possiamo ritenere che la gente faccia il tifo per Falcone e Borsellino, cioè per l’antimafia? Consentitemi di avere seri dubbi”.

Secondo il fratello di Francesca Morvillo “Palermo, per la sua storia che tutti conosciamo, dovrebbe essere la capitale dell’antimafia, la capitale di una vera cultura antimafiosa. Invece continua a essere, nonostante i grandi risultati raggiunti da forze dell’ordine e magistratura, la capitale del solito squallido compromesso politico-mafioso, che ha sempre inquinato la vita della città. Che fine ha fatto ‘la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità’? Credo che se ne sia persa la traccia. Se si vuole concretamente dare un seguito alle parole di Paolo Borsellino, dobbiamo adoperarci per tenere lontano dalla nostra vita tutto ciò che ha anche il più lieve odore di mafia. Anche quando queste scelte comportano la rinuncia a godere di quegli aiuti, di quegli appoggi che ben noti ambienti politico-mafiosi sono in grado di assicurare”. Il magistrato sottolinea che “la cultura mafiosa non riguarda solo la mentalità dei criminali, degli uomini di Cosa nostra, ma ha un’accezione più ampia poiché con essa si intende la negazione delle regole sociali a favore delle regole private e di gruppi, quella rete di rapporti stratificata nel tempo fatta di scambio di favori, appoggi elettorali, gestione del potere amministrativo indirizzata al perseguimento di interessi di singoli o di gruppi, a discapito degli interessi della collettività. In questo cammino nella strada dell’antimafia i cittadini dovrebbero trovare nelle istituzioni, che essi stessi hanno voluto, una guida indiscussa e autorevole, che voglia e sappia indicare loro la direzione da seguire. Purtroppo, invece, troppo spesso i cittadini ricevono dall’alto segnali che invitano a convivere con ambienti notoriamente in odore di mafia. Non c’è alcun segnale che in questa terra sia di primaria importanza liberarsi della cappa mafiosa, a qualunque costo. Dalle nostre parti l’unica cosa che conta è raggiungere il potere, a qualunque costo”.

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