Il giorno dopo le contestazioni al Salone del Libro di Torino, la ministra per la Famiglia e la Natalità Eugenia Roccella torna sulle polemiche e accusa attiviste e attivisti di averle “impedito di parlare”. Una denuncia che, nelle ultime ore, ha già ripetuto varie volte e quasi in una decina di sedi: durante una live con il giornale “il Dubbio”, in un post su Facebook, con le agenzie di stampa (presenti e a distanza), in un’intervista a “la Stampa” e in mattinata parlando in collegamento dal Congresso di Noi Moderati. Alla ministra hanno risposto le opposizioni: contestano a Roccella di aver scelto di non continuare con l’evento ed essere rimasta per più di un’ora sul palco in attesa che si sbloccasse la situazione. Sempre la ministra, fallita la mediazione con chi protestava, ha assistito a uno scontro verbale tra esponenti di Fratelli d’Italia (la deputata Augusta Montaruli in prima fila) e il direttore editoriale del Salone del Libro Nicola Lagioia. Scrittore che ha poi accusato di “narrazione fantasy” e di non aver criticato abbastanza le proteste. La tensione ha portato a 29 denunce per violenza privata e minacce di manifestanti di Extinction Rebellion e Non una di meno che hanno esposto cartelli e intonato slogan.
Roccella, tra le principali esponenti del governo Fdi, non ha dubbi e sostiene che quello che è successo ieri è “fascismo”. “E’ stato molto grave”, ha detto parlando davanti alla platea del partito di Maurizio Lupi, “perchè è accaduto in un tempio della libertà, poi perchè ero là non come ministra ma per presentare un libro che parlava di femminismo, di lotte delle donne. Il problema però è di metodo. Gli attacchi alla libertà di parola vengono sempre da sinistra”. Quindi, per difendersi, ha citato addirittura Matteo Renzi e il suo uso di una frase estrapolata di Pier Paolo Pasolini: “Come ha detto Renzi, questo è il fascismo degli antifascisti, ma è fascismo. Grave la condotta della Schlein, grave che la sinistra non difenda la libertà di parola”. Proprio la leader dem, intervenendo a “In Onda” su La7 ieri sera, aveva ribadito la sua posizione in difesa di chi esprime dissenso: “In una democrazia si deve mettere in conto che ci sia”, ha detto, “sta nelle cose, non riguarda mica solo chi sta al potere. Noi siamo per il confronto duro, acceso ma è surreale il problema che ha questo governo con ogni forma di dissenso”. E’ surreale, ha aggiunto “che ministri e deputati si siano messi ad attaccare Lagioia. Non so come si chiama la forma di un governo che attacca le opposizioni e gli intellettuali ma quantomeno mi sembra autoritaria”. Stessa linea anche per la deputata M5s Chiara Appendino: “Sia chiaro: Roccella aveva ed ha pieno diritto di parola, così come chi la ascolta ha diritto di contestare, purché in forma pacifica e senza impedire a chiunque di potersi esprimere”. Secondo l’esponente M5s “era questo il senso dell’invito al dialogo di Lagioia. Tanto però è bastato a due rappresentanti delle istituzioni per rivolgersi a lui con toni e frasi irricevibili”. Appendino ha continuato stigmatizzando la frase gridata da Montaruli a Lagioia: “Con tutti i soldi che pigli, vergognati”: “E’ emblematica del loro modo di concepire un grandissimo evento culturale come proprietà del governo. Come se il ruolo pubblico di Lagioia lo obbligasse a schierarsi a prescindere con il potente di turno”. La deputata M5s ha anche condannato la scelta di Meloni di non calmare le polemiche: “Mi sarebbe piaciuto che almeno la presidente tentasse di mettere una toppa a questa imbarazzante figura del suo governo. Invece no, se possibile ha rincarato la dose”.
Roccella al Salone del Libro rivendica di essere andata come “scrittrice” e non tanto come ministra. Ma anche senza discutere sulla possibilità o meno che una rappresentante delle istituzioni possa dismettere il suo ruolo in pubblico, la stessa impostazione del dibattito a cui avrebbe dovuto partecipare era molto politica. Insieme al suo, infatti, era previsto l’intervento di Maurizio Marrone, assessore Fdi alle Politiche sociali della Regione Piemonte: un politico molto amato dal partito di Giorgia Meloni perché, tra i primi atti dopo il suo insediamento, ha creato un fondo da 400mila euro per le associazioni anti-abortiste. Assessore che Roccella, nonostante ripeta da sempre di non voler toccare la legge per il diritto all’aborto, non ha mai mancato di elogiare giocando su un’ambiguità che le viene fortemente contestata dalle opposizioni: non toccare la legge 194 significa anche non migliorare l’accesso all’interruzione di gravidanza che, in alcune zone dell’Italia, è messo in pericolo dall’elevato numero di obiettori. Un fatto sostenuto dalle testimonianze e dai dati ottenuti dall’Associazione Coscioni che su questo si batte da anni: nel 2022, erano 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie in Italia con il 100% di obiettori di coscienza per medici ginecologi, anestesisti, infermieri e operatori socio sanitari; quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%. Per Roccella tutto questo non ha effetti, anzi: “Sull’aborto non c’è nessuna battaglia”, ha detto a la Stampa. “C’è una legge che viene rispettata. L’obiezione di coscienza non impedisce affatto l’accesso all’interruzione di gravidanza e infatti il carico di lavoro per i medici non obiettori è di un aborto a settimana“. Una versione contraria a quanto denunciato da associazioni e rappresentanti dei sanitari; come denunciato a luglio scorso, ad esempio, da Laiga (Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194), “il 40 per cento degli ospedali italiani non garantisce l’aborto”.
Per Roccella non c’è alcun problema. Dopo 45 anni “è una legge che è stata applicata, quindi non mi sembra necessario intervenire“. Il principio però, è lo stesso usato per i diritti Lgbtq+ ed è quello che viene contestato dalle opposizioni: il non intervento non significa che si tutelano i diritti, ma che non si fa niente per migliorare sulle lacune e di conseguenza si rischia di indebolirli. A dirlo, tra le righe, è stata la stessa Roccella commentando, sempre con la Stampa, le critiche del premier canadese Trudeau a Meloni sul trattamento per le coppie omogenitoriali e il mancato riconoscimento dei figli: “Come governo non abbiamo fatto assolutamente nulla“. E ha aggiunto: “C’è stata una sentenza della Cassazione” che “ha disegnato un percorso preciso”. E il Parlamento “sta discutendo sulla perseguibilità del reato di utero in affitto anche quando commesso all’estero”. Ovvero, qualcosa stanno facendo.