di Leonardo Botta

Abbiamo assistito all’ennesimo, chirurgico capolavoro di strategia e cinismo politico da parte di Matteo Renzi. Questa volta la vittima sacrificale è Carlo Calenda. Rapidamente i fatti.

Dopo aver fregato Salvini sponsorizzando il governo Conte II, e poi abbandonato il Partito Democratico per fondare Italia Viva, portandosi con sé un (bel) po’ di parlamentari, l’ex premier aveva un chiaro progetto in mente: diventare il Macron italiano, leader di un partito dal consenso a due cifre. Sfortunatamente per lui, i sondaggi non decollavano e la sua creatura restava inchiodata, nelle intenzioni di voto degli italiani, sotto la soglia del 3%. Allora il Jep Gambardella della politica nostrana, onorando il celeberrimo motto wildiano “parlate pure male di me, purché ne parliate”, si rimetteva al lavoro affossando Conte e spianando la strada all’avvento di Draghi.

Con la sopraggiunta crisi del nuovo governo “dei migliori” restava il complicato nodo della sopravvivenza di IV alle elezioni politiche anticipate (difficilmente, da solo, il partito avrebbe superato la soglia di sbarramento). Allora Matteo era di nuovo in campo a tessere sapientemente trame sottotraccia, infilandosi nel letto tra Calenda e Letta; operazione, anche questa, riuscita magistralmente a colpi di mille lusinghe: lui avrebbe fatto un passo di lato, affaccendato com’era in mille impegni, primi dei quali le milionarie (chapeau!) conferenze in giro per il mondo, mentre al leader di Azione avrebbe lasciato il prestigioso ruolo di frontman della lista unica libdem0.

Il buon Carlo abboccava come una trota all’amo, e i due partiti approdavano beatamente in Parlamento, con (aspetto non secondario) una paritaria ripartizione dei seggi tra i due sposini e la reciproca promessa (da marinai) di sciogliere al più presto i due soggetti politici per fondarne uno solo, insieme con gli altri satelliti della costellazione liberale italiana. Ma il discolo Pinocchio era di nuovo all’opera, sicché, quando si è trattato di andare al dunque, sono emerse tutte le obiezioni e i cavilli del caso: i fondi del finanziamento dei partiti, la Leopolda, la direzione del quotidiano Il Riformista. La reazione scomposta, da pollo di batteria, di Calenda non tardava ad arrivare, e il prematuro divorzio era bell’e servito.

Il resto è storia degli ultimi giorni, con questo lento, ma inesorabile stillicidio di cambi di casacca, diversi approdi da Azione alla corte di Renzi il Magnifico e il partito di Calenda che rischia seriamente di finire in Parlamento al gruppo misto.

Cos’altro dire dell’uomo di Rignano: semplicemente un genio! Magari un genio del male, ma pur sempre di genio si tratta.

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