Quando il 23 febbraio il giudice per l’udienza preliminare di Pescara assolse la maggior parte degli imputati per il disastro del hotel Rigopiano fu chiaro nella decisione aveva pesato la valutazione se la valanga che travolse il resort, gli ospiti e i lavoratori – 29 vittime – fosse davvero imprevedibile. E oggi con la pubblicazione delle motivazioni della sentenza è arrivata la certezza. C’è l’imprevedibilità dell’evento alla base del verdetto del giudice Gianluca Sarandrea e una non riscontrabile responsabilità degli imputati che “esclude il collegamento causale tra la presunta condotta omissiva tenuta ed il crollo dell’Hotel Rigopiano”. Un disastro colposo, compiutosi tra il 18 e il 19 gennaio 2017, che quindi non ha trovato colpevoli. Per i periti del Tribunale non era possibile prevedere quello che avvenne. Nello specifico un evento che non può essere legato alla condotta della Regione, in relazione all’utilizzo della Carta Localizzazione Pericolo Valanghe (Clpv). Tanto meno riscontrabile la responsabilità di uno dei principali imputati, l’ex prefetto Francesco Provolo, e dei suoi più stretti collaboratori, secondo il gup, la loro condotta non può assumere rilevanza nello sviluppo causale degli eventi.

Diverse le valutazione per le condanne inflitte: quella di 2 anni e 8 mesi al sindaco di Farindola Ilario Lacchetta e quella di 3 anni e 4 mesi ai due funzionari della Provincia Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio. In particolare, riguardo il primo cittadino, scrive il giudice: “Nella veste di autorità di protezione civile comporta una sua affermazione di penale responsabilità, limitatamente alla condotta relativa all’omissione dell’ordinanza di inagibilità e di sgombero dell’Hotel Rigopiano. Ai sensi della Legge Quadro della protezione civile del 1992 il sindaco rappresenta autorità comunale di protezione civile essendo chiamato a garantire in ogni situazione la sicurezza della propria comunità sia come singoli individui che come collettività”. In sostanza si imputa a Lacchetta di aver omesso di disporre la chiusura dell’Hotel con la conseguente evacuazione. A questo punto la Procura ha 45 giorni di tempo per presentare ricorso in appello, mentre tra le reazioni di parenti vittime e parti civili, si sottolinea come l’imprevedibilità non può rappresentare una risposta alle tante domande di verità e che andrebbero meglio approfondite le posizioni di altre figure, vedi la Regione, quanto meno in vista di un procedimento parallelo in sede civile.

“Osservo come, purtroppo, una sommaria lettura delle circa 300 pagine della sentenza del dottor Gianluca Sarandrea confermi le dichiarazioni che ho rilasciato a caldo, cioè che molte assoluzioni derivano dalla formulazione dei capi d’imputazione da parte della procura della Repubblica di Pescara, che non hanno superato il vaglio dibattimentale” ha detto a LaPresse l’avvocato Romolo Reboa, che ha difeso diverse famiglie delle vittime. “A mio avviso, emerge anche la fondatezza del mio ragionamento che la Procura dovrebbe riesaminare la posizione di altri soggetti, anche sulla base delle considerazioni fatte dal magistrato giudicante, ad esempio per meglio verificare chi avesse il potere decisionale reale su posizionamento ed uso delle turbine, ovvero con riferimento a quanto dallo stesso scritto sul concorso nel reato del proprietario anche se non committente nel caso in cui lo stesso abbia piena consapevolezza dell’esecuzione delle opere eseguite in assenza di titolo abilitativo da parte del coimputato”, ha aggiunto.

Secondo il legale delle famiglie delle vittime del disastro di Rigopiano, “con riferimento alla tempestività dei soccorsi, quantomeno con riferimento sia alla gravità delle lesioni di chi è sopravvissuto che del decesso ‘avvenuto qualche giorno dopo la valanga a seguito di una crash sindrome con compartecipazione di un progressivo quadro asfitticò – ha spiegato Reboa -Il gup ha ritenuto che, creando un’equivalenza tra colpa e posizione di garanzia, si avrebbe un principio di presunzione della colpa, esistente nel diritto civile, ma estraneo al diritto penale. Sottolineo tale passaggio della sentenza in quanto, a mio avviso, la stessa lascia emergere degli elevati profili di responsabilità civile della ‘Regione Abruzzo’ che ha omesso di redigere la Carta delle valanghe prima della sua approvazione da parte della giunta Marsilio – ha rimarcato il rappresentante legale delle famiglie delle vittime – Quantomeno, ad una prima lettura mi lascia viceversa perplesso il ragionamento seguito dal magistrato con riferimento alle responsabilità del sistema di protezione civile, considerato che il metodo Augusto imponeva ai vertici l’esecuzione di azioni anche in presenza dell’incapacità del territorio di farvi fronte”, ha concluso. Probabilmente, secondo quanto sostiene il legale, “un più approfondito esame della decisione consentirà d’identificare ulteriori elementi utili per la redazione di un appello nell’interesse degli assistiti da parte degli avvocati del Reboa Law Firm; ciò che è certo che, da parte dei difensori, i familiari delle vittime non saranno lasciati soli”.

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