di Aldo Penna
Tra pochi giorni ricorre l’anniversario numero 31 dalla morte di Giovanni Falcone. Purtroppo l’evento è scaduto in una vuota ritualità e in un palcoscenico per esponenti delle istituzioni che in vita avevano sempre avversato Falcone.
Quest’anno il rischio è maggiorato, perché ruoli fondamentali come la carica di ministro dell’Interno sono rivestiti da un uomo come Matteo Piantedosi cui manca l’ingrediente fondamentale per rivestire una carica che si occupa di accoglienza oltre che di repressione: la misericordia. Oppure del ruolo di uomini come Carlo Nordio che, pur essendo stato un magistrato, sostiene punti di vista agli antipodi della filosofia di Falcone: opposizione alle intercettazioni, proibizioni o ostacolo alla diffusione delle notizie sulle indagini -che un gran ruolo hanno giocato sul creare solidarietà verso gli investigati, nemici veri della mafia.
Per questo, invece di ritrovarsi con quelle compagnie davanti l’albero Falcone, è preferibile dare un segno di differenza e discontinuità e partecipare al corteo promosso dalla Cgil, per poi confluire all’albero davanti casa Falcone per rendere omaggio a un eroe il cui ricordo rischia di divenire appannaggio di immeritevoli e usato solo come alibi di un un impegno che nei fatti non esiste.