Economia & Lobby

Al festival dell’Economia di Trento sfilano ministri e manager: una costosa operazione di marketing

Incuriosito da uno spot televisivo, ho dato un’occhiata al programma del Festival dell’Economia di Trento organizzato anche quest’anno dal quotidiano economico di Confindustria. Il quadro degli incontri di Trento è veramente impressionante e chi ha steso il programma ha avuto una grande creatività nella scelta dei numerosissimi argomenti toccati, anche se il tema generale sembra esagerato e vagamente esoterico: il futuro del futuro. Un festival iper-futurista che piacerebbe di sicuro all’artista trentino Fortunato Depero.

Quali sono le caratteristiche del festival di quest’anno? A mio avviso si possono ricavare, anche se in maniera del tutto impressionistica, andando a vedere quali sono le categorie proporzionalmente più rappresentate dei relatori. Sicuramente in primo luogo c’è da annotare la presenza di molti ministri. Pare che il Consiglio dei ministri si sia trasferito a Trento. Si tratta di ministri molto significativi come Valditara, Giorgetti, Crosetto e altri ancora. La politica governativa ha risposto in maniera esemplare al richiamo della costruzione del futuro. Da studioso di cose economiche mi piacerebbe ascoltare la relazione del ministro Giorgetti sulla crescita come rimedio al debito pubblico. Da un ministro delle Finanze era lecito aspettarsi qualcosa di più che un’osservazione da primo anno di studi universitari. Lo stesso vale per la sessione sulla riforma fiscale, dove le forze filo-governative sono la piena totalità e hanno il dominio assoluto. Quindi un festival che si presenta in primo luogo come una tribuna molto gradita per il Governo della destra. Quasi insignificante dal punto di vista quantitativo la voce delle opposizioni.

La seconda categoria è quella dei manager, dei direttori generali, dei consulenti aziendali, presidenti di fondazioni e così via. Sono i cosiddetti uomini e donne del fare, ovvero i potenti o quasi dell’economia italiana, venuti a Trento per raccontare le loro storie di successo. Naturalmente sono anche gli sponsor della potente macchina organizzativa di cui sarebbe interessante conoscere i costi. Per queste imprese Trento è un’ottima occasione di marketing e di promozione della propria attività, anche quando non ce n’è bisogno come nel caso delle società pubbliche. Come si suol dire, una mano lava l’altra: l’impresa offre la generosa sponsorizzazione e il Festival l’occasione di intervenire. Chi paga ha diritto ad un posto in prima fila anche nel festival dell’economia.

Poi abbiamo la categoria dei giornalisti, per lo più economici, e questo non sorprende. Il festival di Trento è il festival di un quotidiano economico che dispiega tutte le sue forze anche finanziarie. Oggi l’economia è raccontata principalmente dai giornalisti attraverso la stampa quotidiana, i libri e gli interventi nelle trasmissioni televisive. Gli studiosi accademici si vedono poco e rimangono rintanati nel loro recinto universitario. Quelli che una volta si chiamavano gli intellettuali preferiscono dedicarsi a coltivare la loro reputazione accademica, pubblicando su poche e quotate riviste che però molto pochi leggono. Il campo allora dell’influenza sull’opinione pubblica è quasi totalmente a disposizione dei giornalisti che hanno indubbiamente una maggior libertà, e a volte capacità, d’azione.

Da ultimo, non potevano mancare i docenti universitari, che coprono un certo lato del pianeta economia, quello della riflessione critica e scientifica. Nella piccola Davos di Trento troviamo due premi Nobel, segno che si dà spazio anche al pensiero più blasonato, e anche alcuni docenti di sicuro valore. Ma tutto sommato si tratta di una truppa quantitativamente molto modesta che indica chiaramente quale posto spetta alla scienza economica nel mondo di Confindustria. Non certo una posizione centrale, ma periferica e di scarsa rilevanza. Gli studiosi sono invitati come si invitano lontani parenti non molto graditi ad un matrimonio: una scelta necessaria anche se fastidiosa.

Cosa dirà poi nella sua relazione finale il padrone di casa, il Presidente di Confindustria, dal titolo ambizioso Perché cambiare l’Italia conviene a tutti? Non lo so, ma posso immaginarlo dalle proposte degli imprenditori di questi mesi. Il cambiamento che propongono è la solita litania: meno intervento pubblico e più mercato, meno tasse e più profitti, più salari ma pagati dallo stato riducendo i contributi, non tasse sugli extra-profitti ma contributi energetici, sì al lavoro precario voluto dal Governo Meloni e così via. Insomma un futuro, per riprendere il tema del festival, che nella sostanza è la fotocopia di un passato che non ha dato grandi risultati per la società, anche se di sicuro ha gonfiato i profitti degli imprenditori.

Che cosa rimane allora dei quattro giorni di questa kermesse barocca di Confindustria? Rimane una costosa e inutile operazione di marketing di un quotidiano ben finanziato, dove il fumo, cioè la retorica auto-celebrativa, vale l’80%, e l’arrosto, cioè la crescita della conoscenza, il 20%, secondo una mia stima che considero generosa. A Trento non c’è l’economia della gente comune, ma la visione narcisistica dell’economia degli imprenditori italiani. Per capire qualcosa di più dell’economia odierna occorre spostarsi a Torino, al Festival Internazionale dell’Economia che si terrà dall’1 al 4 giugno. Il titolo della manifestazione, Ripensare la globalizzazione, ci dice che ci muoviamo da un improbabile futuro ai problemi reali del presente. Peraltro anche la lista degli sponsor ci dice che siamo nella direzione giusta di un pensiero più libero e creativo, meno marketing prezzolato e più sostanza.