Salute

“Bevendo 3,5 bicchieri di vino rosso alla settimana si riduce del 4% il rischio di mortalità”: il nuovo studio di Harvard e il fact-checking dell’esperto

Ma - avverte Emanuele Scafato, vice-presidente EUFAS - bisogna sempre tenere a mente che "quelle stesse quantità incrementano il rischio di oltre 60 malattie, tra le quali 7 tipi di cancro”

In piena bagarre scoppiata per le polemiche sui danni dell’alcol, arriva, col tentativo di sbaragliare le posizioni, l’ennesimo studio che invece riabiliterebbe il vino. Addirittura, secondo questa ricerca, ridurrebbe del 4% il rischio di mortalità. Ma come, dopo tutto quello che numerosi esperti, Oms in testa, hanno detto sui benefici praticamente nulli dell’alcol come si arriva a questa conclusione? Per rispondere, proviamo a riavvolgere il nastro, andare oltre i titoli di testa e valutare questo studio osservazionale pubblicato su BMC Medicine, che annovera tra gli autori Walter Willett, epidemiologo della Harvard School of Public Health di Boston.

Il campione dello studio – Il campione della ricerca è rappresentato da un ampio numero di soggetti statunitensi (55.786 donne e 29.800 maschi), di mezza età e senza malattie croniche come dato di partenza. Obiettivo dello studio, osservare le associazioni tra i cambiamenti nel consumo di alimenti molto ricchi di flavonoidi e la percentuale di mortalità. È stato anche definito un punteggio, chiamato “flavodiet”, basato sulla quota globale assunta di alimenti e bevande che sono fonti principali di flavonoidi. I flavonoidi sono una classe di polifenoli importante per gli effetti biologici molto positivi per la salute. Sebbene quasi tutti gli alimenti a base vegetale contengano flavonoidi, alcuni ne presentano concentrazioni eccezionalmente elevate. Ci sono anche nel vino, dovuto all’uva rossa. Ma su questo ci torniamo dopo.

Le dosi benefiche – La ricerca ha quindi osservato che con un aumento di 3,5 porzioni alla settimana di cibi contenenti flavonoidi si verifica una riduzione della mortalità anche per mirtilli e peperoni (rispettivamente 5%, 9%). Inoltre, l’aumento di una tazza al giorno di tè comporta la riduzione della mortalità del 3%. Per contro non si sono osservati effetti altrettanto positivi con altri alimenti ricchi di polifenoli come mela, cioccolato fondente e agrumi. Quando invece si consideri il punteggio “flavodiet”, si è dimostrato che un aumento di tre porzioni al giorno nel consumo di alimenti ricchi di flavonoidi (es. una tazza di tè più una porzione di mirtilli e un bicchiere di vino rosso) comporta una riduzione del rischio di mortalità pari all’8%. In conclusione? Gli autori dello studio incoraggiano di aumentare il consumo di specifici alimenti e bevande ricchi di flavonoidi, in maschi e femmine di mezza età, perché può ridurre il rischio di mortalità precoce.

Valutiamo la ricerca – “Gli autori dello studio affermano che ‘il campione non è rappresentativo della popolazione’, quindi i risultati non sono generalizzabili”, chiarisce per il IlFattoQuotidiano.it il professor Emanuele Scafato, vice-presidente EUFAS, European Federation of Addiction Societies, past-president della SIA, Società Italiana di Alcologia. “Ma soprattutto”, continua Scafato, “gli stessi ricercatori mettono nero su bianco di non essere certi che le associazioni positive tra consumo di flavonoidi e riduzione della mortalità possano legarsi ad altri componenti non indagati dallo studio. E affermano, inoltre, testualmente: ‘We cannot conclude that association are causal’ nella piena consapevolezza di assenza di qualunque relazione causa-effetto di quanto osservato. Ci sarebbe poi da dire qualcosa sul conflitto d’interesse, visto che due degli autori sono consulenti del grant funding concesso dalla Highbush Blueberry Council, l’industria che produce cibi a base di mirtilli. Mi sarei aspettato di veder mettere in maggiore evidenza il potere strepitoso dei flavonoidi dei mirtilli (peraltro qualitativamente più salutari rispetto al vino) ma democraticamente si è giunti a conclusioni più generalizzate sull’indicazione di triplicare l’introito dei prodotti presi in esame, tra i quali il vino è l’unico a non essere un alimento ma prodotto alcolico, tossico e cancerogeno. Stupisce davvero la leggerezza delle conclusioni su dati non rappresentativi e senza alcun nesso causale. E c’è ancora più da stupirsi che la rivista abbia accettato un lavoro del genere. Il problema di alcuni giornalisti e media?”, continua Scafato, “È quello della scarsa capacità d’interpretazione (a voler essere buoni e ingenui) e di diffondere fake news spesso a fronte di conflitti d’interesse non dichiarati, come ha denunciato l’Oms, oltre a non considerare quelli che gravano su certe pubblicazioni”.

I reali effetti dei flavonoidi del vino – A questo punto, chiariamo bene che ruolo hanno i flavonoidi contenuti nel vino. “Faccio un esempio con gli integratori a base di flavonoidi sui quali esistono consistenti dubbi avanzati dalla comunità scientifica nel merito dell’efficacia”, risponde sempre Scafato. “Contengono centinaia di mg di prodotto attivo da assumersi più volte al giorno per mesi al fine di ottenere un risultato ‘antiossidante’ favorevole alle cellule”. E quindi, col vino che succede? “Il contenuto di flavonoidi in un bicchiere di vino è talmente basso”, spiega l’esperto, “come validato dalle linee per una sana alimentazione degli italiani del CREA, che le sostanze bioattive, come il resveratrolo o la quercitina, non riescono a svolgere alcun effetto biologico, anche perché inibite nell’assorbimento dall’alcol. Bere centinaia di bicchieri di vino al giorno non può essere ovviamente un’indicazione di salute pubblica ed è una pericolosa favola quella che attribuisce vantaggi per la salute a quantità di 1-2 bicchieri di vino – o di qualunque alcolico – al giorno, nascondendo al consumatore che quelle stesse quantità incrementano il rischio di oltre 60 malattie, tra le quali 7 tipi di cancro!”. Una favola che continua a circolare, come chiarisce Scafato, “solo perché c’è chi ha interesse e investe affinché si diffonda”. In sintesi, conclude Scafato, “il vino si beve per piacere. Cercare di valorizzarlo per quello che (non) fa piuttosto che per quello che è, che rappresenta per il consumatore e per il sistema di valori della qualità di un prodotto, ne mortifica l’eccellenza e nuoce all’immagine e all’eleganza, alla cultura di un modello e di uno stile naturalmente ispirato alla sobrietà, intesa nel suo senso più ampio e qualificante di scelte informate”.