Scienza

Così l’intelligenza artificiale ha imparato a “prevedere” i pensieri, lo studio su Nature. I ricercatori: “Non è una lettura della mente”

“Non ci piace usare il termine lettura della mente”. È il punto fermo di Alexander Huth, assistente professore di Neuroscienze e informatica all’Università del Texas ad Austin, intervistato dalla Cnn su la trasformazione in parole delle scansioni dell’attività cerebrale in parole utilizzando la stessa tecnologia di intelligenza artificiale che alimenta l’innovativo . Una traduzione di fatto che potrebbe avere molte implicazioni. Il ricercatore si è offerto volontario come soggetto di ricerca per questo studio, pubblicato poi su Nature, trascorrendo più di 20 ore all’interno della macchina per la risonanza magnetica: in quel periodo di tempo ha ascoltato musica e letto mentre la macchina “scattava” immagini dettagliate del suo cervello. L’analisi del suo cervello ha portato l’intelligenza artificiale a “prevedere” le parole che stava ascoltando.

I ricercatori, come spiega il network statunitense, hanno utilizzato il primo modello linguistico della startup OpenAI con sede a San Francisco, GPT-1, sviluppato con un enorme database di libri e siti web. Analizzando tutti questi dati, il modello ha appreso come sono costruite le frasi, essenzialmente come parlano e pensano gli esseri umani. L’addestramento ha portato l’intelligenza artificiale a poter prevedere ciò che Huth e altri stavano ascoltando o guardando semplicemente monitorando la loro attività cerebrale. Gli scienziati pensano che questa tecnologia possa in vittime di ictus e altri il cui cervello funziona ma non sono in grado di parlare. “La nostra è la prima dimostrazione che possiamo ottenere questo livello di accuratezza senza intervento chirurgico al cervello. Quindi pensiamo che questo sia una sorta di primo passo lungo questa strada per aiutare effettivamente le persone che non sono in grado di parlare senza che abbiano bisogno di sottoporsi a neurochirurgia”. I ricercatori, rispondendo alle domande dell’intervistatore, hanno spiegato che la tecnologia non potrebbe essere usata per estorcere una confessione. “Pensiamo che i dati del cervello di tutti dovrebbero essere tenuti privati”, ha detto Jerry Tang, primo autore dello studio, “i nostri cervelli sono una specie di una delle ultime frontiere della nostra privacy.”

Lo studio su Nature