Cinema

Il potentissimo cinema di Marco Bellocchio: “Ho scritto a Papa Francesco. Vorrei vedesse questo mio film”

di Anna Maria Pasetti

Ho scritto a Papa Francesco. Vorrei vedesse questo mio film. Non mi ha ancora risposto, so che è impegnato da ben altre questioni, ma una sera rilassante con il cinema forse se la potrà concedere”. Scherza ma non troppo Marco Bellocchio parlando del suo nuovo lavoro, Rapito, presentato al Festival di Cannes dove torna consecutivamente da quattro anni. “Certo, se escludiamo la Palma onoraria, Cannes non mi ha mai premiato ul campo, ma se non mi daranno premi anche stavolta non cambia molto. Però spero che qualche spettatore vada al cinema a vederlo”. Opera profondamente e radicalmente bellocchiana, appare come un ideale (“ma inconsapevole” dice il cineasta, chissà) percorso da Aldo Moro al piccolo Edgardo Mortara, laddove il tema del rapimento, e più estensivamente della violazione di libertà su più livelli, continua a essere centrale nelle riflessioni e nello sguardo del regista emiliano. La materia già esplosiva del sequestro operato dallo Stato della chiesa nel 1858 del seienne Edgardo, letteralmente strappato dalla propria famiglia ebrea bolognese per convertirlo in perfetto cattolico, diventa sostanza incandescente attraverso l’obiettivo di Bellocchio, che la nutre di complessità politica, filosofica, morale e psicologica, e soprattutto ne fa un nuovo potentissimo capitolo della sua già straordinaria filmografia, in cui il tema del conflitto tra individuo e potere ha da sempre trovato visionarie traduzioni.

Adattato dal libro Il caso Mortara di Daniele Scalise, e subentrato nel mirino di Bellocchio dopo la rinuncia di Steven Spielberg, Rapito innesta la storia privata nella grande Storia dell’Italia – che “s’è desta” e sta prendendo forma – e intercetta la violazione, l’abuso, lo scandalo persecutorio tanto del popolo ebraico dalla sua costituzione, quanto ancor più profondamente ed estensivamente dell’identità e della libertà di qualunque persona nel momento in cui tali valori sostanziali della vita sono minacciati. Come si diceva, si tratta di un’opera perfettamente allineata alla poetica e all’est(etica) informata nella sessantennale carriera artistica del cineasta emiliano, in cui realismo e immaginazione si fondono e si declinano nella dimensione onirica – qui espressa come incubo – ove si profondono sinistre atmosfere d’inquietudine tipiche del thriller storico.

Un testo di potentissimo cinema dal primo all’ultimo fotogramma: densa di coraggio concettuale, altamente simbolica, e definitivamente laica nel suo essere la summa di un artista/pensatore ateo ma dall’esistenza intimamente condizionata dalla religione cattolica entro la quale si è formato. “Alcuni sacerdoti l’hanno visto, ne sono usciti emozionati e pensierosi. Più colpita e commossa in profondità è rimasta la comunità ebraica, mi ha fatto piacere sentire la loro gratitudine”. “Del resto – ha continuato Bellocchio – non ho mai pensato di fare un film contro la religione e contro il papa, mi affascinava la storia”. Ma è indubbio che dalla visione di Rapito emerga un ritratto di Pio IX, l’ultimo papa re (interpretato in maniera superlativa da Paolo Pierobon) tutt’altro che bonario: non solo come leader religioso e politico ma anche come essere umano, non esente da insinuazioni di violenze “altre” sui ragazzi ebrei forzatamente indottrinati. “Queste però sono interpretazioni”, chiosa il regista. “Nessuno ha voluto giudicare, ci sono misteri che restano e resteranno tali nella storia di Edgardo Mortara”. Con un cast assai bellocchiano, ma anche inedito, che vede sullo schermo accanto a Pierobon anche Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Enea Sala (Edgardo Mortara da bambino), Leonardo Maltese (Edgardo ragazzo), Filippo Timi e Fabrizio Gifuni, Rapito è prodotto da IBC Movie e Kavac Film con Rai Cinema in coproduzione Francia e Germania. Uscirà nelle sale il 25 maggio per 01 Distribution e l’intero incasso nazionale del primo giorno sarà devoluto all’Emilia-Romagna vittima delle tragiche alluvioni.

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