Un mazzolino di rose tra le mani. Le stanche gambe aiutate dalle stampelle e dalle forti braccia dei vigili del fuoco. Un pianto a dirotto che scoppia quando a due passi dalla chiesina della Madonna della Neve lo sguardo incrocia la stazione di Monte. Proprio quella, la stazione maledetta che la cabina 3 della funivia Stresa-Mottarone non ha mai raggiunto, scarrucolando a pochi metri dall’arrivo e precipitando poi giù, spezzando 14 vite in una manciata di infiniti secondi.
Era il 23 maggio del 2021. Ieri, 23 maggio di due anni dopo, si è commemorata la strage là, a pochi passi da dove tutto si è compiuto. “Non una fatalità, non uno scherzo del destino”, ma un atto provocato da “persone dalla coscienza intorbidita” seguendo “la logica disumana e irresponsabile del Tanto non capita nulla” ha tuonato don Gianluca Villa, parroco di Stresa, nell’omelia della messa in suffragio delle vittime della funivia.
Tal, Amit, Tom, Barbara, Itshak. Li chiama tutti, don Gianluca. Mohammadreza, Serena, Silvia, Alessandro. Tutti i 14 morti di quella tragica domenica. Angelo, Roberta. E ancora Vittorio, Elisabetta, il loro piccolo Mattia. L’elenco è rotto dai singhiozzi di chi oggi piange quelle vite e si chiede perché. Anzi, chiede giustizia. Una parola che il parroco di Stresa non si vergogna ad evocare davanti ai carabinieri, alle autorità e al procuratore capo di Verbania Olimpia Bossi: “Stiamo parlano di voragini di sofferenza umana, tatuaggi indelebili e dolenti. Il vuoto lasciato dalla morte ingiusta degli innocenti è un furto alla storia alle famiglie, ai parenti. L’anniversario a due anni di distanza apre la domanda più attesa e scottante: è stata fatta giustizia? La recente chiusura delle indagini conferma che vi sono state chiare e gravissime responsabilità umane” Don Gianluca ha poi collegato la strage della funivia a quella di Genova: “Il pensiero va anche in queste ore al Morandi”, alludendo alle dichiarazioni in aula di Gianni Mion sulla coscienza del rischio crollo del ponte di Genova sin dal 2010.
“C’erano nonni, genitori, bambini e fidanzati – continua Villa – c’erano persone con i loro progetti, i loro sogni. E oggi non ci sono più”. Il parroco ha voluto anche unire nella preghiera tutte le vittime, perché su quella cabina “c’erano rappresentanti di tutte e tre le grandi religioni monoteiste, cristiani, ebrei e musulmani. Oggi preghiamo per tutti loro, indistintamente”. A celebrazione finita, famiglie e amici delle vittime cercano la sindaca di Stresa Marcella Severino, in prima fila anche oggi e pronta a stringere mani e offrire parole di vicinanza. E cercano anche Olimpia Bossi, che con il suo educato ma severo sorriso con il dito fa segno che no, oggi non è il giorno delle dichiarazioni da parte sua. Ma invece accoglie la nonna di Eitan in un lungo e accorato colloquio a mani strette le une nelle altre.
E mentre parenti e amici delle vittime vanno verso le loro auto rifiutando garbatamente telecamere, microfoni e taccuini, l’unico a prendere la parola è l’avvocato Emanuele Zenalda, legale della famiglia Biran, che prima di tutto ringrazia “chi anche quest’anno ha voluto ricordare questa tragedia e le sue vittime” e poi puntualizza: “L’avviso di conclusione delle indagini acclara una serie di gravissime responsabilità. Chiediamo giustizia e speriamo in una soluzione rapida. Vogliamo che venga messa la parola fine a questa vicenda. Ci sentiamo abbandonati e ci auguriamo che qualcuno pensi realmente a queste vittime e ai loro familiari, soprattutto sul versante dei risarcimenti. Né Leitner né Allianz si sono mai fatte sentire per una promessa o un accenno di risarcimento”. Non parla invece di Eitan, dice solo che “i nonni Miran e Dan ci tenevano tantissimo ad esserci oggi, perché hanno Eitan ma hanno anche perso un figlio, una nuora e un nipotino. Non c’è giorno che passi senza che ripensino a quanto accaduto quella domenica”.
Una domenica che ha segnato inevitabilmente anche questa montagna e tutto il territorio, oggi puntellato di portoni chiusi e insegne spente. “È un dolore che si rinnova ogni anno, Stresa è vicina alla comunità dei familiari e non dimenticheremo – ha detto la sindaca di Stresa Marcella Severino arrivando alla Madonna della Neve – il territorio ha bisogno della ricostruzione, ma non è oggi il giorno per parlarne”. Sulla porta della stazione di Monte ci sono ancora i sigilli dei carabinieri, fuori un posacenere con qualche mozzicone. Un temerario scalatore arranca sulla sua bici da corsa, da un bagagliaio spuntano zaini e racchette da trekking. La messa è finita, ma da qui nessuno lanciando uno sguardo giù per il dirupo se ne va in pace.