Invadere le terre dei pipistrelli è un po’ come accendere la miccia di nuove future pandemie. Questi animali infatti sono veri e propri serbatoi di patogeni pronti, in qualsiasi momento, a “saltare” nell’uomo. L’unico vero “scudo” che abbiamo, quello che per millenni ci ha offerto protezione, è stata la distanza: i pipistrelli hanno vissuto indisturbati nei loro habitat, lontani dall’uomo che, a sua volta, è rimasto al sicuro dagli agenti patogeni che vivono in questi animali. Ora però che gli esseri umani hanno iniziato a “invadere” le terre dei pipistrelli, ci sono la bellezza di oltre 9 milioni di chilometri quadrati, distribuiti in 113 paesi diversi, in cui il contatto indesiderato uomo-pipistrello potrebbe dare origini a nuove epidemie. Il dato emerge da un’elaborata inchiesta condotta dalla Reuters, in cui sono stati interpellati decine di scienziati, analizzate altrettante ricerche accademiche e visitate le terre dei pipistrelli di tutto il mondo. Alla fine l’inchiesta ha concluso che, nel mondo, più di una persona su cinque vive nelle terre dei pipistrelli “a rischio” epidemia.

La lunga vita dei pipistrelli – La comunità scientifica concorda nel ritenere i pipistrelli come uno dei principali serbatoi di virus: alcune stime ne indicano ben 72mila diversi. Gli scienziati non hanno ancora compreso appieno il motivo per cui è così, ma sono certi che i pipistrelli hanno una sorta di “super-potere”. “Sebbene in questi animali alberghino una serie di virus, come Sars-CoV-2, non si ammalano. Non solo. I pipistrelli vivono tra i 40 e i 50 anni, che è tantissimo per un animale, e non si sviluppano mai tumori”, spiega Massimo Clementi, virologo, professore emerito dell’Università Vita-Salute dell’Università San Raffaele di Milano, direttore per anni del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’ateneo. “Questo li rende un obiettivo di studio molto interessante, a prescindere dal rischio di trasmissione dei virus”, aggiunge. Ma il contatto uomo-pipistrello, anche a fini di studio, deve essere “rispettoso”. “Se andiamo a occupare gli habitat dei pipistrelli, condividendo i loro stessi spazi, dobbiamo mettere in conto il rischio che uno dei numerosi patogeni che ospitano riesca ad adattarsi all’uomo e quindi dare luogo epidemie”, spiega Clementi. “Se a questo ci aggiungiamo la facilità e la frequenza con cui oggi gli esseri umani si spostano da un posto all’altro del mondo è logico aspettarsi che un’epidemia non rimanga localizzata ma possa diventare a tutti gli effetti una pandemia, esattamente come è successo con Sars-CoV-2”, aggiunge.

Per cercare di capire dove potrebbe emergere la prossima pandemia, la Reuters ha utilizzato i dati riguardanti due decenni di epidemie e, incrociandoli con i dati ambientali, hanno identificato i luoghi più vulnerabili alla diffusione dei virus dei pipistrelli. Ebbene, l’analisi ha rivelato un sistema economico globale – in cui le foreste vengono disboscate per far posto all’agricoltura, alle industrie estrattive, alle infrastrutture, ecc. – in contrasto con la Natura, che mette a rischio più di 1 miliardo di persone. L’agenzia di stampa ha poi utilizzato un modello informatico per capire se ci fosse un unico comun denominatore tra le 95 località in cui i virus dei pipistrelli hanno infettato le persone tra il 2002 e il 2020. In totale sono stati presi in considerazione 56 fattori che gli studi hanno collegato allo spillover, cioè al famoso passaggio del virus all’uomo, tra cui la perdita di alberi, le temperature, le precipitazioni, il bestiame e il numero di specie di pipistrelli nell’area. In tutto, l’analisi ha incluso quasi 8 miliardi di dati di questo tipo, molti dei quali derivati dai satelliti.

Una persona su cinque abita in aree con rischio spillover più alto – Le aree individuate coprono il 6% della massa terrestre della Terra. Sono per lo più località tropicali ricche di pipistrelli e in fase di rapida urbanizzazione. Nel 2020, in queste “zone di salto” vivevano quasi 1,8 miliardi di persone, in aumento del 57% rispetto al 2002. Questo significa che più di una persona su cinque sul pianeta ora vive in aree in cui il rischio di spillover è più alto. Non solo più persone vivono in questi luoghi, ma vivono anche più vicine fra di loro, aumentando le possibilità di diffusione delle malattie. La densità della popolazione nelle zone di salto è aumentata di quasi il 40% dal 2002 al 2020. La cosa più preoccupante è che la popolazione sta crescendo più velocemente e la densità aumenta maggiormente nelle aree in cui le condizioni sono più mature per lo spillover. “In un mondo sempre più connesso, è anche più probabile che uno spillover diventi un’epidemia o una pandemia”, sottolinea Clementi.

Anno dopo anno sono emerse nuove zone di salto. Complessivamente le aree “a rischio” sono cresciute del 16% negli ultimi due decenni. Le stesse aree hanno perso il 21% della loro copertura arborea in quel periodo, il doppio del tasso mondiale. La distruzione di foreste, caverne e altre aree in cui i pipistrelli vivono e si foraggiano sta costringendo animali e persone a vivere in luoghi più ravvicinati. Le intrusioni umane distruggono l’habitat dei pipistrelli, ma non necessariamente i pipistrelli stessi. A differenza di molti altri animali selvatici, molte specie di pipistrelli possono adattarsi e prosperare in habitat dominati dall’uomo. Più pipistrelli ci sono, maggiori sono le possibilità che i virus che trasportano mutino e diventino più contagiosi. E più i pipistrelli si avvicinano alle persone, maggiori sono le possibilità che i patogeni saltino di specie. Le aree più a rischio, infatti, non sono habitat apparentemente incontaminati dove sono presenti pochi esseri umani, ma quelli in cui il rapido cambiamento ha avvicinato persone e pipistrelli. Affinché un virus passi a una nuova specie, ha bisogno di avere caratteristiche precise per entrare nelle cellule di un ospite. Dopodiché, ha solo bisogno di un’opportunità.

È impossibile, tuttavia, prevedere esattamente dove potrebbe verificarsi un nuovo spillover. Nessun modello, inclusa l’analisi Reuters, può catturare tutte le variabili che potrebbero contribuire alla all’insorgenza di una pandemia, come il commercio illegale di animali selvatici senza documenti o il consumo di un animale infetto da parte di una persona. Altrettanto imprevedibili sono gli effetti dello stress dei pipistrelli quando viene distrutto il loro habitat e quelli del riscaldamento globale. Gli scienziati hanno trovato prove che tale stress rende i pipistrelli più inclini a ospitare virus e a diffonderli attraverso i loro rifiuti corporei.

Quale paese sarà la prossima “culla” di una pandemia? – L’analisi di Reuters ha però dimostrato di avere un certo potere predittivo sulle aree in cui potrebbe avvenire un spillover, almeno stando a quanto avvenuto in passato. Dal 2020, che è l’ultimo anno coperto dall’inchiesta, almeno sette focolai di Ebola e Marburg sono stati segnalati in Africa e 20 casi di Nipah in India e Bangladesh. Il tutto è avvenuto in aree geografiche costituite quasi interamente da zone di salto segnalate dall’analisi. La più mortale di queste recenti epidemie si è conclusa a gennaio in Uganda, dove più di 160 persone sono state infettate e 70 uccise da un raro ceppo di Ebola. Negli ultimi due anni, focolai di Marburg si sono verificati in quattro paesi africani in cui il virus non era stato precedentemente rilevato nell’uomo. Tra questi ci sono focolai in corso in Tanzania e Guinea Equatoriale, dove Marburg è sospettato di aver ucciso almeno 40 persone.

In tutta l’Africa occidentale, lo sviluppo umano è stato così rapido che ha spinto gli esseri umani più in profondità nell’habitat di pipistrelli, come i pipistrelli della frutta egiziani, noti per trasmettere il virus Marburg. La regione che comprende Guinea, Sierra Leone, Liberia, Costa d’Avorio e Ghana ha perso quasi un quarto della sua copertura arborea nei primi due decenni di questo secolo, secondo i dati satellitari analizzati da Reuters. Si tratta di un totale di 88.000 chilometri quadrati, un’area grande il doppio della Svizzera. Di pari passo con quella distruzione è arrivata un’ondata di epidemie zoonotiche. L’Africa ha visto 338 epidemie zoonotiche negli ultimi 10 anni, il 63% in più rispetto al decennio precedente, secondo un recente rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità. Circa il 70% di questi focolai nel periodo di 20 anni erano febbri emorragiche virali tra cui Marburg ed Ebola.

In aree come il Laos, nel Sudest asiatico, gli scienziati hanno trovato virus simili a quelli responsabili delle infezioni Covid-19. In India, invece, le cosiddette “zone di salto” sono in rapida espansione, più che in ogni altra parte del mondo. In un paese che ospita ben 500 milioni di persone, i pipistrelli della frutta “banchettano” tra gli umani. A Kerala, lo stato in cui è emerso il virus mortale Nipah per ben 3 volte dal 2018, questi animali si nutrono dei manghi piantati intorno alle case di nuova costruzione. Gli scienziati considerano anche il Brasile come la possibile “culla” di una futura pandemia. La distruzione rapida della foresta pluviale ha trasformato 1,5 milioni di chilometri quadrati di terra in “zona di salto”, dove appunto un patogeno dei pipistrelli può infettare gli esseri umani. Questa è l’area di rischio più estesa di qualsiasi altro paese. “Mentre le persone distruggono gli habitat dei pipistrelli in tutto il mondo, stanno inconsapevolmente aiutando i virus trasmessi dai pipistrelli a mutare, moltiplicarsi e infettare altre specie, incluso l’uomo”, sottolinea Clementi. “Oltre al rispetto degli habitat, se vogliamo davvero impedire una pandemia dobbiamo concentrarci sullo studio di quella che viene definita interfaccia uomo-animale-ambiente, quella in cui avvengono i primi fenomeni che possono innescare epidemie e pandemie. Imparando a intercettare i primi segnali può essere determinante sulla nostra capacità di contenere una pandemia”.

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