Cronaca

Trent’anni di alluvioni, indagini a vuoto e tragedie senza colpevoli: storia di processi partiti dopo decine di morti e finiti nel niente

Nella Bibbia segue il “giudizio universale”, sulla terra piovono per lo più assoluzioni, non di rado per intervenuta prescrizione. L’ultima della serie è arrivata il 19 aprile scorso, giusto un mese prima del disastro in Emilia Romagna, quando il tribunale di Massa ha assolto 11 imputati, tutti con decorrenza dei termini, nel processo per l’alluvione causata dall’esondazione del Magra ad Aulla il 25 ottobre 2011 che causò due morti. Dopo 12 anni nessun colpevole. La premier Meloni è atterrata domenica a Rimini e ha promesso “risposte alla popolazione”. Ma proprio lì, il 3 maggio dell’anno scorso – un anno prima che quella stessa terra fosse devastata da 300 millimetri di pioggia – sono stati assolti tutti e tre gli imputati per l’omessa manutenzione dei fossi che nel 2013 fece morire annegata un’anziana a causa dell’esondazione dei fossi attorno al carcere dei Casetti. “Un evento eccezionale che si verifica ogni 200 anni”, dissero gli avvocati all’uscita dall’aula. Ma un anno dopo è successo di nuovo, e su scala ben più vasta. Sono solo le ultime di una serie di assoluzioni per cui, salvo eccezioni, si può dire che in caso di alluvione s’imbastiscono indagini e processi ma poi quasi mai qualcuno paga, in sfregio ai morti e ai danneggiati cui l’assenza di un colpevole comporta pure lo sfregio del mancato riconoscimento dei danni in sede civile.

Oggi si parla di due inchieste per il disastro in Emilia, una a Ravenna contro ignoti e l’altra azionata ad Ancona da un esposto del Codancons. Atti dovuti, fascicoli esplorativi per capire se vi siano state negligenze o intoppi nella macchina dei soccorsi e, più a valle, responsabilità nella cattiva gestione del territorio, nella valutazione del rischio idrogeologico che solo in Emilia Romagna riguarda il 15% del territorio o sulle opere di messa in sicurezza mai terminate o nemmeno pianificate. Il ministro per la Protezione Civile Nello Musumeci assicura da giorni: “chi sbaglia deve pagare”. Ma mentre se la prende con gli “ambientali integralisti” di fatto assolve politici e amministratori all’insegna della “imprevedibilità” del fato: “Nulla è più prevedibile con condizioni climatiche così bizzarre”. Eppure la storia racconta altro. Quella dei disastri e dei relativi processi a vuoto viaggia in parallelo ed è una pagina dolorosa che meriterebbe un posto nel pantheon già affollato delle stragi impunite.

Eccezione fa la condanna al sindaco di Sarno per l’alluvione del 1998 che provocò la morte di 137 persone. Nel 2013 dopo una prima assoluzione annullata dalla Cassazione il sindaco dell’epoca fu condannato per la condotta negligente consistita nel disporre l’evacuazione. Quella di Marta Vincenzi è tra le poche che si ricordi. L’ex sindaco di Genova prese 3 anni ai servizi sociali per omicidio colposo e ne ha scontati la metà. “Nel nostro caso – spiega l’avvocato Stefano Savi – l’orientamento della Cassazione è stato che, per quanto l’evento alluvionale fosse assolutamente raro e plurisecolare, i soggetti deputati a impedirlo non avevano fatto abbastanza: di fronte alle precipitazioni in Val Bisagno e all’ingrossarsi del Fereggiano avrebbe dovuto informare meglio i cittadini e impedir loro di uscire di casa”. Ma anche nel caso dell’Emilia, fa notare, l’allerta era stata data il giorno prima. Lo stesso protocollo di allerta adottato a livello nazionale prevedeva monitoraggi continui e in tempo reale. In altre parole, nessuna evacuazione. Come per altri reati, tutto si gioca sul nesso di causalità, “che diventa difficile da accertare e dimostrare in giudizio salvo macroscopiche omissioni, specie se le colpe sono stratificate nel tempo e condivise tra amministratori diversi”. E infatti il tempo poi corre, fugge ma sempre in una sola direzione: a favore delle assoluzioni per prescrizione.

Guardando ai processi celebrati, dalla Val d’Aosta alla Sardegna, balza agli occhi la ricorrenza del fenomeno, ma anche la generale impunità che comporta finita l’emergenza, anche a fronte di perizie che indicano come “l’evento non potesse essere classificato come eccezionale e non imprevedibile”. Ad esempio per l’alluvione di Messina del 2009 con 37 morti: nel 2016 vengono assolti 13 imputati e condannati gli ex sindaci di Messina e Scaletta Zanclea. “La mia vita è finita”, disse allora Raffaela Ingrassia, madre di due ragazzi di 21 e 22 morti che si era costituita tra le 168 parti civili. Ma un anno dopo in appello sono assolti anche ex gli sindaci e con la loro l’assoluzione furono revocati risarcimenti civili riconosciuti alle vittime con il primo grado. A novembre dell’anno scorso lo stesso Tribunale di Messina finì allagato.

Andando ancora indietro si arriva all’esondazione del Tanaro del 1994 in Piemonte con 8 vittime: tranne un ex prefetto, già tutti assolti dopo 3 anni. Ma in mezzo ci sono stati sei morti Olbia a novembre del 2013 per l’esondazione dei canali Siligheddu, Gadduresu e rio Sa Ua Niedda, straripati in seguito al passaggio del ciclone Cleopatra: il 17 gennaio 2022 il Tribunale di Tempio Pausania ha assolto sei imputati tra assessori e tecnici. Nessun colpevole per la morte di Francesco Mazzoccu e del figlio Enrico, di Patrizia Corona e della figlia Morgana Giagoni di soli due anni, di Maria Massa e Anna Ragnedda, le sei vittime. Sempre in Sardegna, due anni fa e dopo 11 anni, il Tribunale di Cagliari ha definitivamente assolto in appello tre imputati per la morte di quattro persone durante l’alluvione del 22 ottobre 2008 inghiottite dalla piena del Rio San Girolamo ormai fuori controllo. Erano accusati di omicidio e inondazione colposi, sono stati assolti con formula piena: il fatto non sussiste. Le parti civili si erano opposte al primo grado. Sempre a Genova nel 2019 sono assolti i 9 imputati, tra manager pubblici e amministratori, per l’alluvione di Sestri Ponente dell’ottobre 2010: 40 udienze, la perizia del pm diceva che l’evento non era eccezionale, ma quella del giudice dice il contrario. Perché avere certezze, in questo frangente, è un po’ come parlar del tempo.