Pasquale Tridico si prepara a dire addio all’Inps dopo quattro anni di mandato e il commissariamento deciso dal governo Meloni. Il docente di Roma Tre, in conferenza stampa a palazzo Wedekind, ha rivendicato i risultati raggiunti ribadendo che il bilancio 2022 dell’istituto è in attivo con un avanzo di 23 miliardi di euro e il risultato di esercizio è pari a +7,1 miliardi e in miglioramento di 10.857 milioni rispetto al 2021. Questo nonostante la spesa per le prestazioni sia salita a 380,7 miliardi, il 5,8% in più, di cui 283, 3 miliardi per le pensioni, in aumento del 3,8%. “Quello che pesa è l’invecchiamento”, ha avvertito. “Oggi mandiamo in pensione quelli che sono nati nel 1960, è il periodo del baby boom che è durato circa 15 anni, questo significa che fino al 2035 almeno avremo uscite molto forti”. E se alla crisi demografica si aggiungono gli effetti di salari miseri, la prospettiva per i futuri pensionati diventa da brividi.

“E’ evidente che oggi il sistema previdenziale si basa sul lavoro, quanto più il lavoro è stabile, quanto più è retribuito, tanto più la nostra pensione è più alta”, ha sintetizzato Tridico. “I voucher invece hanno una contribuzione alla base del 13% mentre un lavoratore dipendente ha una contribuzione del 33%: si pensi a cosa vuol dire quando prenderà la pensione. Si troverà 20 punti percentuali in meno se vivrà solo di voucher o se vivrà di contratti intermittenti, a tempo, precari o con bassi salari. Oggi molti sindacati e molti partiti parlano, giustamente, di una pensione di garanzia. Certamente è una soluzione ma una soluzione ex post. Io invece sono per le soluzioni ex ante: non dobbiamo preoccuparci di ridurre la povertà quando l’abbiamo creata ma dobbiamo cercare di evitare di creare pensionati poveri come quelli che ci saranno grazie ai voucher, lavoro intermittente, precariato e bassi salari”. Per non dire del fatto che il lavoro povero danneggia pure le casse dell’istituto, in cui confluiscono meno contributi. Non a caso il presidente uscente, durante un precedente convegno, aveva spiegato che la rivalutazione degli assegni mentre i salari restano al palo mette a rischio l’equilibrio di bilancio.

Il presidente uscente ha detto che in questa prospettiva “dobbiamo iniziare ad ampliare i nostri pilastri. Abbiamo pensato finora che fossero solo due: quello previdenziale pubblico e quello privato. Dobbiamo cominciare a capire che in realtà sono tre: uno universale finanziato su base fiscale, un secondo pilastro che è previdenziale e che dipende dalla vita lavorativa di ciascuno di noi e un terzo integrativo privato ma su cui si può esercitare anche il pubblico”.

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