Alberto Genovese non lascerà subito il carcere, dove è rinchiuso per scontare la condanna definitiva per due casi di violenza sessuale. Non sono bastati il parere favorevole della Procura generale né gli elementi difensivi messi sul piatto, come il fatto che si fosse sposato qualche mese fa quando era in una clinica ai domiciliari. L’ex imprenditore del web condannato resterà in cella per almeno altri 5 mesi. Il Tribunale di Sorveglianza, infatti, ha stabilito che, prima di decidere sulla richiesta di affidamento terapeutico, serve una seria valutazione psichiatrica.

Un accertamento che, come hanno messo nero su bianco i giudici (Roberta Cossia, Simone Luerti e due esperti), non è mai stato effettuato con perizie nel processo e, in particolare, sulle cause che lo hanno portato a compiere quegli abusi. Per questo la Sorveglianza ha affidato all’equipe psichiatrica del carcere di Bollate il compito di effettuare le valutazioni, anche per meglio delineare un preciso percorso di terapie per un’eventuale concessione dell’affidamento terapeutico, richiesto dagli avvocati Antonella Calcaterra e Salvatore Scuto.

Su Genovese, l’ormai ex padrone di casa di festini a base di sesso e droga nell’attico milanese Terrazza Sentimento, “dal punto di vista diagnostico”, secondo i giudici, regna “una certa confusione”: non si sa se soffra di una “patologia di natura psichiatrica”, né se questa sia prevalente rispetto alla dipendenza da cocaina o se sia “causa o concausa della commissione dei delitti”. Non bastano ai giudici le consulenze difensive sugli aspetti psichici e sulla tossicodipendenza. Ricordano nell’ordinanza che c’è anche un secondo filone di indagini su altri episodi di violenze con lo stesso schema, per il quale l’ex fondatore di start up digitali, che fu ribattezzato “mister 200 milioni di euro”, rischia un altro processo.

Nonostante i calcoli favorevoli sulla pena residua da scontare (meno di 4 anni), dopo l’arresto del novembre 2020, e il via libera della Procura generale nell’udienza di due giorni fa, non c’è stata alcuna scarcerazione. I giudici chiariscono di non essere in grado allo stato di esprimere un giudizio certo su di lui, soprattutto perché non è chiara la “criminogenesi” di ciò che ha fatto. Non è stata valutata scientificamente la causa specifica dei reati e delle modalità di “estrema violenza” con le quali sono stati commessi. E proprio l’assenza di un “inquadramento psichiatrico”, per il Tribunale, incide sul “percorso trattamentale” più idoneo, nonostante gli “sforzi” fatti dal 46enne per disintossicarsi dalle droghe.

Per il collegio non si può escludere che un percorso in una comunità terapeutica possa essere idoneo anche per evitare che commetta reati dello stesso tipo, “esigenza” di cui devono tenere conto. Tuttavia, è necessario prima affidare al servizio specialistico psichiatrico di Bollate l’accertamento sulla “criminogenesi”. Per consentire all’equipe di formulare l’ipotesi di trattamento migliore in relazione alla sua “personalità”. Nel frattempo, resterà detenuto ancora per mesi sulla base dell’ordine di esecuzione, firmato dal pm Adriana Blasco a febbraio, della pena definitiva. L’udienza è stata rinviata al 24 ottobre, in attesa degli esiti chiesti dai giudici.

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