Da donna stava male. Ha affrontato la transizione, ma anche da uomo continuava a stare male. Allora ha deciso di fare marcia indietro. Oggi è di nuovo donna. Non è la protagonista di un romanzo di Virginia Woolf, non è sul set di Orlando. É una storia che si inserisce nel delicatissimo dibattito sulla transizione di genere. Sta facendo discutere la Francia dopo esser stata presentata dalla trasmissione televisiva Zone Interdite in onda su M6.
É la vicenda di Johanna, una ragazza svedese che per due volte ha cambiato sesso. Una detransizione di genere. Ha pensato che i suoi tormenti interiori, che si erano manifestati in una gravissima forma di anoressia, fossero dovuti alla disforia di genere. Ha voluto diventare maschio. Ma dopo due anni ha scoperto che anche con un nuovo aspetto e con un nuovo nome non riusciva a trovare felicità, entusiasmo e motivazioni. Soprattutto serenità. Ha deciso allora di tornare indietro. Oggi è di nuovo una donna.
Evidentemente il dramma umano di Johanna è stato subito cavalcato, nel suo Paese e anche al di fuori, dai gruppi e dai media più conservatori. Pronti a puntare il dito contro questo genere di interventi. Hanno sostenuto che il fenomeno della detransizione, del pentimento rispetto a una scelta così difficile, è più diffuso di quanto sostengono le associazioni trans. Ma al di là delle speculazioni ideologiche la vicenda ha suscitato molto interesse.
Nel programma tv Johanna ha ammesso di esser stata influenzata dai social nella sua prima scelta. E il documento che l’emittente ha confezionato per raccontare la sua storia inizia così: “Johanna era una bambina raggiante ma a quindici anni si è ammalata e ha sofferto di anoressia”. Poi spazio alle sue dichiarazioni: “Mi sono resa conto che non mi piacevo, non mi piaceva il mio corpo. Purtroppo il mio desiderio più grande era quello di morire di anoressia“. La morte l’ha sfiorata davvero e ha trascorso molti mesi in ospedale.
Quando ne è uscita si è resa conto che il suo mondo interiore non era cambiato. Continuava a odiare il suo corpo femminile. In alcuni video ha intravisto la soluzione ai suoi problemi e si è rivolta a una delle più note cliniche di Stoccolma. Ha trovato, racconta, la solidarietà della famiglia. La madre, il padre, il fratello. Avrebbero accettato qualunque cosa pur di vederla felice.
Niente da fare: “Dopo un anno e mezzo, quando ne avevo ormai 19, ho iniziato a sentirmi a disagio anche con il mio nuovo corpo”. Inizia così un altro periodo di profondo turbamento: “Mi sono detta: perché non mi sento meglio? Eppure dovrei essere più felice”. Così ha iniziato il percorso inverso. Oggi le inquadrature restituiscono l’immagine di una giovane donna bionda con gli occhiali. E le mettono a confronto con il suo aspetto maschile. “Ho deciso di sospendere i trattamenti ormonali, non ho affrontato nessun tipo di intervento chirurgico”. Paradossalmente, racconta, il ritorno alla condizione originaria le ha dato la forza di combattere contro l’anoressia.
Queste situazioni meritano anche un’analisi scientifica. Ma non ci sono studi e stime precise, non ci sono a livello italiano e scarseggiano a livello mondiale. Quante persone decidono di affrontare la detransizione di genere? La decisione di sottoporsi a detransizione sembra essere rara, con numeri che oscillano da meno dell’1 a circa l’8 per cento. Uno studio un po’ datato (è del 2015) negli Stati Uniti ha rivelato che i “pentimenti” erano maggiori nelle donne transgender (l’11 per cento) rispetto agli uomini transgender (il 4). La motivazione nella maggior parte dei casi è legata a pressioni familiari, discriminazioni, difficoltà a trovare un lavoro, stigma sociale.