Parlare di congedo mestruale per capire se e come una legge potrebbe regolarlo. Questo il tema al centro dell’incontro “Congedo mestruale: al servizio della parità di genere o effetto boomerang?”. Si inserisce nella seconda edizione del Festival del ciclo mestruale, che si terrà a Milano dal 25 al 28 maggio. Scopo dell’intero evento è cambiare la narrazione sul ciclo. Dolori pelvici, dismenorrea, endometriosi, sindrome premestruale, sangue. Nessuna di queste parole viene usata con disinvoltura né consapevolezza, e questo non permette di confrontarsi su nessun livello.

Ammesso che si arrivi a una legge – ancora in fase di proposta in Italia – bisogna interrogarsi a partire dalle basi. “Vogliamo parlare in maniera completa del congedo mestruale, quindi dei suoi presupposti, delle malattie e delle persone che si recano al lavoro anche se vivono un forte disagio rispetto al ciclo” – spiega a ilfattoquotidiano.it Livia Abbatescianni, giurista e organizzatrice del Festival. “Non abbracciamo una posizione, vogliamo riflettere sulle possibili soluzioni normative”. Introdotto per la prima volta nel secondo dopoguerra nel Sud est asiatico, il congedo mestruale è nato in un contesto di sfruttamento lavorativo e ruolo materno della donna. Oggi l’argomento si è spostato sulle problematiche legate alla salute delle persone che mestruano, che possono vivere la mestruazione in modo più o meno invalidante e quindi richiedere delle misure ad hoc. Ma la discussione rimane su un piano astratto e fa i conti con le differenze di genere. “Il dibattito è inquinato dai tabù – dice a ilfattoquotidiano.it Anna Buzzoni, consulente mestruale e autrice del libro Questo è il ciclo (Mimesis), tra le relatrici del talk sul congedo al festival- È raro, per esempio, che gli studi specifichino l’entità della dismenorrea”. Questo termine, dismenorrea, comprende qualsiasi tipo di dolore che si prova durante la mestruazione, a prescindere dalle sue intensità e frequenza. Tuttavia, per errore, è quasi sempre inteso come sinonimo di dolore eccessivo. “Si stima che il 14% delle donne soffra di dismenorrea grave e che l’80% abbia provato almeno una volta nella vita dolore alla mestruazione – spiega Buzzoni – Se i dati sono confusi, si finisce per iperproblematizzare o sminuire un problema senza analizzarlo”.

La terminologia ha un impatto diretto sulle politiche di genere, perché anche le diagnosi si basano in gran parte sulla percezione del dolore. Il disallineamento, quindi, impedisce di intercettare tutti i fattori di disagio e di gestirli in un modo che non ricadano sulle stesse persone che ne soffrono. Da qui la difficoltà di immaginare una legge sul congedo mestruale. “La mestruazione non è una malattia e dunque in molti si chiedono perché si debba usare il congedo di malattia – spiega Buzzoni – È vero che la mestruazione è un evento perfettamente naturale. Ma la dismenorrea grave o anche moderata, non lo è”. Per Buzzoni, è fondamentale che la corretta valutazione della sofferenza fisica sia alla base dei provvedimenti possibili. “Se una persona è piegata in due dal dolore ha il diritto di usare il congedo di malattia. Altrimenti si finisce come con l’endometriosi, per cui servono sempre troppi anni e troppi medici perché si capisca che il dolore non è normale”.

Nei paesi del sud est asiatico e in Zambia c’è da tempo una legge sul congedo mestruale, ma i risultati sono poco documentati. “I propositi partono dalle migliori intenzioni ma non sono basati sulle evidenze. Esiste una sola ricerca scientifica, pubblicata dall’indonesia l’anno scorso, e purtroppo ci dice inequivocabilmente che il congedo ha aumentato le discriminazioni sul lavoro e non ha favorito la salute mestruale delle persone”, spiega Buzzoni.

In Europa, è la Spagna ad avere introdotto per prima una legge su questo tema, con parametri simili a quelli presentati nel disegno italiano. Tre giorni al mese (due nel dl italiano) retribuiti al 100%, sotto presentazione di un certificato medico. In mancanza di dati oggettivi, il dibattito si è polarizzato tra la necessità di avere una legge e la paura che accentui il gender gap. “Un congedo altamente genderizzato – spiega Buzzoni – provoca delle ripercussioni come quelle che conosciamo bene con il congedo di maternità, che quando rimane da solo provoca discriminazioni sul luogo di lavoro, e questo, al contrario del congedo, è altamente documentato”.

Con incontri, dibattiti e laboratori, il festival cercherà di approfondire le principali tematiche relative al ciclo. Tanti gli spunti di riflessione, dalla salute riproduttiva all’ecologia mestruale passando per gli stereotipi culturali. L’obiettivo è promuovere nuovi modi di parlare di ciclo e diritti. Del congedo si parlerà il 26 maggio in un talk con Anna Buzzoni, Maura Gancitano, Roberta Ribon, Elena Mordiglia e il think tank Period.

Si discuterà dei principali fattori che alimentano il dibattito, tenendo a mente alcuni obiettivi. Per prima cosa, “per evitare una legge con effetti dispersivi serve rigore testuale”, – spiega Abbatescianni. Un esempio su tutti: nel dl presentato a febbraio, così come in quello depositato nel 2016 ma che non ha mai visto la luce, si parla di dismenorrea e di endometriosi, patologie che si presentano durante i giorni della mestruazione, ma non di disturbo disforico premestruale. Questo disturbo nei 10-15 giorni precedenti la mestruazione, però, è diffuso e gli studiosi chiedono sia introdotto. “Vorremmo anche che ci fosse una consapevolezza diffusa sul tema – dice la giurista – perché l’altro rischio è che venga sì promulgata una disposizione normativa sul congedo mestruale, ma poi non venga utilizzata dalle persone che mestruano, come succede negli altri paesi. In un contesto come quello italiano, in cui donne e lavoro hanno già un rapporto molto confliggente, ci preme, che un congedo di questo tipo non sia effettivamente discriminatorio”.

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