In Tribunale a Vicenza va in scena il racconto di un capitalismo rapace, che ha sfruttato la scienza per ottenere sostanze chimiche, poi rivendute e utilizzate nella produzione di beni di consumo di massa. Ma quando le aziende coinvolte hanno scoperto che i Pfas, ovvero le sostanze perfluoroalchiliche, dal molteplice utilizzo industriale, finite nell’acqua di un fiume statunitense, erano la causa di malattie e tumori – sia per i lavoratori degli stabilimenti che per le popolazioni che vivevano nell’area – i colossi nordamericani si sono guardati bene dal renderlo pubblico. Soltanto dopo una quindicina di anni è stata informata l’Agenzia nazionale per la tutela ambientale, quando ormai il danno era stato prodotto. A raccontare questa vicenda, che in West Virginia e Ohio ha portato a risarcimenti per 750 milioni di dollari, è stato l’avvocato Robert Bilott, protagonista di class action che hanno spinto sia 3M che DuPont a transazioni dal valore enorme, a favore di alcune migliaia di persone. La storia è solo apparentemente lontana, pur essendo avvenuta sull’altra sponda dell’Oceano Atlantico a cominciare dagli anni Novanta. In realtà interessa da vicino l’Italia, perché 3M e DuPont dal 1999 erano in contatto con Miteni, la società di Trissino, in provincia di Vicenza, ritenuta la causa dell’inquinamento della falda di tre province del Veneto (Vicenza, Padova e Verona) che interessa una popolazione di almeno 350mila persone.
La lunga deposizione dell’avvocato Bilott al processo per disastro ambientale ha confermato che le multinazionali americane scoprirono gli effetti nefasti dei Pfas ben prima che ciò avvenisse in Italia. Quando ebbero la conferma, aprirono però canali informativi con una serie di aziende nel mondo, tra cui la Miteni. A partire dagli anni Duemila ci fu uno scambio di dati riguardanti la presenza di sostanze tossiche nel sangue dei lavoratori dello stabilimento di Trissino, prima ancora che uno studio Irsa-Cnr verificasse nel 2013 lo stato di inquinamento degli acquedotti del Veneto. Si trattava dei rapporti che il medico della Miteni, il consulente Giovanni Costa (ora docente all’Università di Milano, è imputato a Vicenza), aveva elaborato a partire dal 2000. I contenuti delle analisi erano stati inviati anche allo Spisal di Vicenza, la struttura dell’Ulss Berica dipendente dalla Regione Veneto, senza però che in Italia nessuno avesse la percezione del grave rischio che correvano i lavoratori. Questi ultimi solo dopo molti anni hanno fatto ricorso alla Cgil che con un esposto ha dato il via a un procedimento penale per omicidio e lesioni colpose legate alla produzione di Pfas che è ancora aperto, seppur con una richiesta di archiviazione.
Il racconto di Bilott è un formidabile assist alla tesi dell’accusa che contesta a 15 manager Miteni, compresi i responsabili tecnici, di essere stati a conoscenza dei rischi ambientali e quindi di essere responsabili dell’inquinamento. “Dagli anni ’60 gli scienziati della DuPont cominciarono a preoccuparsi degli effetti tossici dei Pfas. Negli anni ’70 li verificarono su topi, cani e scimmie. Dal 1975 estesero gli accertamenti alle banche del sangue, scoprendo la presenza di fluoro organico. Ma non si sapeva da dove provenisse”. Nel 1978 la multinazionale 3M scoprì che Pfoa e Pfas erano nel sangue dei dipendenti. Poi DuPont accertò che potevano essere pericolose anche per gli uomini. “Nel 1981 fu avviato uno studio sui bambini nati da 7 dipendenti del gruppo, trovando la presenza di Pfas nel sangue dei neonati e problemi di natura endocrina in due casi”. Sono sempre le aziende private a svolgere, nel segreto più assoluto, ricerche di laboratorio. Nel 1987 fu trovata una relazione tra Pfoa e cancro nei testicoli dei ratti. La scoperta portò DuPont e 3M a interrogarsi sull’impatto che gli scarichi delle lavorazioni chimiche avevano nel territorio. Trovarono la contaminazione su una sponda e sull’altra del fiume Ohio, dove vennero riversate migliaia di tonnellate di sostanze inquinanti.
Gli avvocati che assistono Miteni, Mitsubishi e Icig hanno tentato di fermare la deposizione–fiume, dagli effetti devastanti, di Bilott, sostenendo che le vicende americane non interessano al processo in corso in Italia. La presidente Antonella Crea ha respinto le eccezioni e così il racconto è continuato fino ad arrivare ai passaggi più imbarazzanti. “La DuPont decise di raccogliere dati da tutti i propri stabilimenti nel mondo, a cominciare da quello olandese che riceveva le sostanze chimiche prodotte da Miteni e acquistate da DuPont”. È nel 1998 che 3M informa per la prima volta l’Agenzia di Protezione ambientale degli Usa. L’anno successivo l’italiana Miteni entra in collegamento costante con DuPont per quanto riguarda lo scambio di dati. “Ci fu una riunione congiunta, anche con 3M – ha rivelato Bilott – a cui parteciparono due rappresentanti della Miteni, tra cui Davide Drusian (è stato a lungo procuratore pe rla sicurezza di Miteni, ed è uno degli imputati, ndr). Fu costituito un gruppo di studio a cui partecipò anche il dottor Costa per gli italiani. Nel 2000 fu 3M a decidere di sospendere la produzione”. DuPont, invece, non si fermò. Anzi, “chiese direttamente a Miteni se avrebbe continuato a fornire i Pfas anche per il mercato europeo, promettendo un incremento delle ordinazioni”. È nei primi anni Duemila che la Miteni comincia ad inviare a DuPont i dati sulla presenza dei Pfas nel sangue dei lavoratori. Si tratta dei rapporti che solo nel 2016 la Regione Veneto chiese a Miteni, attraverso Spisal di Vicenza, quando l’allarme era ormai esploso.
Intanto in America la causa civile avviata nel 2001 con Dupont si chiuse nel 2004 con una transazione da centinaia di milioni di dollari, che fissò anche l’impegno all’avvio di un gruppo di studio composto da tre epidemiologi indipendenti. Fu così che nel 2012 venne confermato che i Pfas erano in grado di causare tumori ai testicoli e ai reni, malattie alla tiroide, colite ulcerosa, aumento del colesterolo. Anche a seguito di quei risultati le autorità statunitensi lanciarono una campagna per il monitoraggio della presenza di Pfoa e Pfas nelle acque su tutto il territorio nazionale. Dopo di allora sono state varate linee guida per la potabilità dell’acqua mentre altri studi hanno accertato che i Pfas “compromettono la risposta immunitaria e ai vaccini delle persone”. Negli Usa fu, quindi, una causa civile a portare alla luce i danni da Pfas che le multinazionali non rivelarono. Un’indagine penale, iniziata nel 2005, si bloccò invece nel 2007 dopo che DuPont si è impegnata a interrompere la produzione altamente tossica. In Italia l’attività Miteni, invece, è terminata solo dopo il blocco delle autorizzazioni e il fallimento dell’azienda. Le cause penali sono ancora aperte e le associazioni a tutela della salute hanno chiesto una legge nazionale che vieti la produzione e l’uso dei Pfas.