Un “buco nero” inquietante spunta dall’inchiesta sulle malattie professionali contratte dai dipendenti della Miteni, la fabbrica di Trissino, in provincia di Vicenza, considerata la causa dell’inquinamento della falda per effetto degli scarichi, protrattisi per decenni, dei temibili Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche utilizzate nella produzione industriale. Il sospetto riguarda l’efficacia – se non addirittura l’assenza – dei controlli sulla salute dei lavoratori da parte dello Spisal, il servizio di prevenzione igiene e sicurezza dell’Ulss 8 Berica che dipende dalla Regione Veneto. Quali rapporti ci sono stati tra la struttura sanitaria interna all’azienda e il controllore pubblico che avrebbe dovuto rilevare i rischi delle attività lavorative? Come mai, fino a quando non entrò in azione lo Spisal dell’Ulss Serenissima 3 di Venezia, nel 2017, la struttura vicentina non si accorse dei livelli pericolosissimi per la salute delle emissioni e della promiscuità delle lavorazioni?
Il “black-out” nelle verifiche – Tra poco meno di un mese, di fronte al giudice per l’udienza preliminare si terrà l’udienza decisiva per sapere se l’inchiesta riguardante il decesso di tre operai e le patologie che hanno colpito altri 18 dipendenti sia destinata a finire a processo o con un’archiviazione. Come è stato già spiegato da ilfattoquotidiano.it, mancherebbe, secondo la Procura, la prova dell’esistenza del nesso di causalità tra esposizione ai Pfas e i decessi, mentre solo in 10 casi vi sarebbe “un nesso eziologico, in termini di concausalità” su 18 casi. Ma ormai il reato di lesioni colpose sarebbe prescritto. Una beffa per i lavoratori, anche perché dai fascicoli emergono alcuni documenti che raccontano come vi sia stato per anni un black-out nelle verifiche da parte dello Spisal e come alcune mail, scambiate con il medico della Miteni, siano indicative di rapporti di grande confidenza tra controllori e controllati fino a quando l’inquinamento è diventato di pubblico dominio. Sul caso Miteni ci sono due procedimenti: quello delle malattie in fabbrica (19 indagati) e quello del disastro ambientale (dibattimento in corso), con una quindicina di imputati, i manager della società accusata di aver avvelenato la falda che corre nel sottosuolo del Veneto e interessa un territorio (province di Vicenza, Padova e Verona) abitato da oltre 350mila persone. Dagli atti emergono dubbi e interrogativi, che però non sono sfociati in ipotesi di reato nei confronti delle strutture sanitarie.
Spisal Vicenza: “Nessuna violazione” – Pur chiedendo l’archiviazione, la sostituta procuratrice Alessia La Placa ha gettato delle ombre sul mancato rispetto della normativa di prevenzione da parte della Miteni. Tra gli indagati c’è Giovanni Costa, medico competente prima di Rimar (gruppo Marzotto), poi di Miteni. Si trattava di un consulente esterno, docente all’università di Milano. Dal 1978 al 2016 si è occupato della sorveglianza sanitaria aziendale, inviando dal 2003 report annuali che attestavano una generale tendenza alla diminuzione delle concentrazioni ematiche di Pfoa nel sangue dei lavoratori. La pm indica gravi carenze nella gestione produttiva, basandosi su una relazione redatta dallo Spisal nel giugno 2017, epoca a cui risalgono i primi accessi ispettivi in Miteni. Attenzione, a fare le ispezioni fu lo Spisal dell’Ulss 3 Serenissima di Venezia, non quello di Vicenza. La magistrata annota che esiste solo una “scarna relazione redatta dal servizio Spisal presso l’Ulss 8 Berica”. La prima avvisaglia del buco nero è questo: ha dovuto intervenire Spisal 3 per produrre documenti significativi nell’inchiesta dei carabinieri del Noe di Treviso, coordinata dalla procura di Vicenza. E Spisal Vicenza? Scrive il pm: “Sebbene richiesto, con apposita delega del 14 luglio 2020, Spisal presso l’Ulss 8 Berica (territorialmente competente in ordine alla vigilanza sulla Miteni) non trasmetteva alcun verbale di accesso in loco o di verifica, limitandosi genericamente ad affermare – in pieno contrasto con quanto scoperto – che ‘tenendo conto delle misure adottate dall’azienda sulla base dei dati ambientali e delle innovazioni dei processi tecnologici, non si evidenziano significative violazioni a tutela della salute dei lavoratori’”. Fino al 2020, quindi, lo Spisal che avrebbe dovuto controllare la Miteni non aveva riscontrato anomalie.
Le criticità scoperte da Spisal Venezia – Gli esiti di Spisal 3 sono completamente diversi, come hanno spiegato nel 2021 il direttore Teresio Marchi e la dirigente Maria Gregio. “Quanto alle emissioni di Pfoa e Pfos e all’esposizione professionale si attesta la presenza di numerose potenziali fonti di emissione di materie prime, intermedi, prodotti finiti e rifiuti, con conseguente criticità ai danni degli operatori”. Segue un elenco di criticità sulle modalità del lavoro e di organizzazione dei reparti, sulla mancanza di un piano di contenimento del rischio e sulle modalità di analisi dei dati. La pm conclude, riferendosi a Miteni: “Appare corretto ritenere che vi fossero delle rilevanti criticità sia da un punto di vista dello svolgimento delle varie fasi di lavoro (a cielo aperto, poco automatizzate, richiedente la presenza fisica dell’operatore) sia per quel che riguarda la valutazione del rischio chimico, con la conseguente mancata adozione di idonee misure (collettive) preventive per la sicurezza dei lavoratori, ulteriori rispetto all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale”. Osservazione finale della magistrata: “È possibile concludere affermando che sia il dottor Costa che gli altri indagati (i vertici di Miteni, ndr) fossero consapevoli quantomeno dai primissimi anni 2000 della interferenza della esposizione ai Pfas con il metabolismo lipidico senza che siano state adottate misure collettive adeguate ad eliminare il rischio espositivo”.
Mail alquanto confidenziali – Alla luce delle mancate scoperte di queste criticità da parte di Spisal Vicenza, si possono leggere ed interpretare le mail che nel 2016 e 2017 furono scambiate tra la struttura pubblica di controllo e l’azienda. Sono state acquisite durante l’inchiesta per le malattie professionali e ora sono confluite nel processo principale per inquinamento in corso davanti alla corte d’Assise di Vicenza. I documenti dimostrano un rapporto di confidenza piuttosto singolare, considerando il compito di vigilanza che spetta allo Spisal sulle attività imprenditoriali private. Si tratta di una ventina di mail che accompagnano la richiesta di documenti, per conto della Regione Veneto, e che mostrano come Spisal fosse informato dei dati allarmanti sulla salute dei lavoratori di Miteni e di come esistesse un flusso informativo da Spisal diretto al medico dell’azienda chimica che produceva i Pfas. Un esempio? Spisal scrive al dottor Costa: “Domani l’Istituto Superiore di Sanità porterà i dati sul biomonitoraggio della popolazione, temo succederà un casino. Ti terrò informato”. E pochi giorni dopo, a riprova della consapevolezza di una situazione critica nello stabilimento, altre frasi eloquenti, riferite ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità. Scrive Spisal a Costa: “Ieri l’Iss ci ha solamente mostrato le slides… Mi pare che i valori più elevati misurati nella popolazione degli ‘esposti’ siano 100 o 1.000 volte minori di quelli dei lavoratori Miteni”.