Cinema

Romantico, disinvolto e più “adulto” del previsto, il film Disney La Sirenetta va promosso

di Davide Turrini

Su le palette per La Sirenetta. Romantico, disinvolto, più “adulto” del previsto, visivamente ricco e accattivante, musicalmente eclettico, La Sirenetta 2023, il film di Rob Marshall che rinverdisce lo storico brand Disney, non è affatto male. Poi certo peggio del classico del 1989, datata rimasticazione di quel tradizionalismo Disney ancora all’epoca poeticamente, culturalmente e a livello di disegno fermo alle pastoie antidiluviane Cenerentola-Biancaneve (pensate alla ripetitività dei personaggi di contorno), era difficile fare. Qui la sfida era duplice: aggiornare la dimensione dell’animazione (CGI spintissima che si mescola al live action) e insufflare nuova idealità e indipendenza al femminile per la protagonista Ariel, (Halle Bailey) sirenetta adolescente con la coda di pesce che vive in fondo al mare ma con la voglia matta, contrastata dal padre, il re Tritone (Javier Bardem), di incontrare e mimetizzarsi lassù nel cono di luce con gli umani.

Nella fattispecie il principe Eric (Jonah Hauer-King), rampollo di un casato marinaro, coraggioso marinaio che viene salvato da un naufragio proprio da Ariel. La storia comunque la sapete: lui rimane con stampigliato sulla fronte la faccina innamorata della sirenetta che ha intravisto mentre veniva posato zeppo di acqua nei polmoni sulla battigia incontaminata; lei si vede confermato con lode principesca il buon giudizio che già aveva sulla vita all’asciutto oltre la dimensione acquatica di famiglia. Ma di fronte all’ostile opposizione di babbo per risalire in superficie, Ariel disobbedisce e chiede aiuto alla malvagia strega, nonché zia Ursula (Melissa McCarthy) che la incatena ad un funesto incantesimo: potrai diventare umana con due piedini e gambine, ma se entro tre giorni non bacerai con amore (con la lingua, si diceva per essere spregiudicati da adolescenti) il principe tornerai negli abissi a scontare la tua pena.

Aiutata da un terzetto animale (il timido granchio Sebastian, la svampita sula Scuttle e l’ansioso pesciolino Flamber) Ariel risalirà l’oceano, verrà accolta a corte, vestita e riverita, ma nonostante l’amore con Eric scatti e parecchio, rimarrà intrappolata nella maledizione della perfida Ursula. Suddiviso sostanzialmente in due parti, pressappoco come per il tradizionale primo e secondo tempo, dicotomicamente prima nel basso dell’oceano poi nell’alto degli umani, il film di Marshall guizza abile tra fiaba e musical mescolando tempi scattanti e varianti narrative, affidandosi ad una impostazione generale di mescolanza tra effettistica in post (e pre) produzione con la recitazione classica degli attori. Appunto, l’accostamento, anzi proprio l’approccio fisico tra attori veri e personaggi animati (si veda su tutte la sequenza di Suttle che sale sulle gambe di Ariel) è cifra peculiare della Industrial Light and Magic e della Weta di Peter Jackson.

Per alcuni numeri musicali – Under the sea, ad esempio – oltre alla Bailey che ogni tanto scompare dietro ad una roccia siamo di fronte ad un fondale marino interamente inventato che bascula tra realismo alla National Geographic e ad una ispirata cifra cromatica da pittura romantica. Identico discorso, con sfumature dark e psichedeliche nel numero di presentazione della strega Ursula. Mentre se c’è qualcosa in cui difetta l’effettistica visiva è negli esterni giorno da mercatini caraibici dove le luminarie accese e il mix dei contrasti sovraccaricano l’insolazione da spiaggia con uno strano effetto neon. Ad ogni modo il risultato espressivo ne La sirenetta è più che discreto tanto che l’immagine è capace di rapire: ad esempio con la dolcezza vagamente retrò nel numero Kiss the girl durante il quale principe e sirena vagano innamorati su una barchetta in uno stagno angelico contornato da animaletti cantanti. Poi se nei mesi scorsi le polemiche sono state tutte per la scelta di colorare di afroamericano la sirenetta, che come da fiaba di Andersen originaria era bianca come un giglio, la scelta sfacciatamente politica della produzione Disney non crea alcuno scompiglio percettivo: da un lato perché la polemica in sé era parecchio cretina; dall’altro perché la Bailey recita con un fare così sognante, subisce le angherie con sincera fragilità che a nessuno interessa nemmeno per un secondo di che colore abbia la pelle. Semmai, e qui davvero siamo dalle parti dell’eccesso gratuito (provocazione? battuta? convinzione reale?) fa un po’ ridere che la mamma regina sia afroamericana e il figlio principe Eric sia bianco come un cencio.

La Sirenetta del resto si propone come racconto rivolto ad una attenta generazione Z, a qualche giovanissimo Millennials e non proprio ai vecchi Boomers (a cui venne propinato da adolescenti il brutto film del 1989): l’impianto drammaturgico segue pedissequamente la fiaba originaria, ma il coté di liberazione dalle tradizioni, quel “andate e cambiate il mondo” finale dei vecchi genitori regnanti ai giovani ri-mescolati sembra la riattualizzazione della saga reale di Harry e Meghan. Infine due note interessanti: l’utilizzo dei comprimari animali (pesci, uccelli, bestiole varie) è sagacemente orientato ad un rispetto etico di rara grazia (nel brano Under the sea i pesci sono felici di non finire “fritti in padella”), mentre il soundtrack composto da Alan Menken e Lin-Manuel Miranda mantiene il giusto equilibrio di un’ibridazione suono-parole tra tradizione disneyana e commercializzazione post moderna ma senza scadere nel rapper che scratcha (Daveed Diggs, la voce originale del granchio Sebastian, è cantante hip hop). Girato nei Pinewood studios di Londra e su alcune vere spiagge della Sardegna di cui non citiamo il nome. Avendole visitate e vedendo che non si riempiono nemmeno a Ferragosto è meglio finchè si può mantenerle il più protette possibile.

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