Cinema

Alice Rohrwacher per la quarta volta a Cannes con La chimera

di Anna Maria Pasetti

Alice nel paese degli Etruschi. Da dove, del resto, non se n’è mai andata, culla d’infanzia e palestra d’adolescenza, in cui “ho formato la misura del mio sguardo”, dice. Al suo quarto lungometraggio, e il terzo girato a ambientato nella Tuscia, Alice Rohrwacher confeziona con La chimera una favola stratificata che radicalizza il proprio cinema, riflettendo sul confine tra la vita e la morte, il sacro e il profano, e in estensione il visibile e l’invisibile “che conta quanto il visibile nel mio cinema” sottolinea la regista, che al suo quarto lungometraggio torna al Festival di Cannes dopo avervi partecipato – e vinto diversi premi – praticamente con ogni suo film. “Un film che parla del passato, del presente, dell’al-di-qua e dell’Aldilà. La chimera è qualcosa che tutti cerchiamo di raggiungere e non ci riusciamo. Per il mio protagonista è un amore che ha perso”, spiega Rohrwacher.

Una lunga e poderosa espansione e approfondimento dei temi a lei cari, che pone al centro del racconto un concetto chiave nella sua poetica e politica espressiva: quello di violazione, già presente in Corpo celeste, Le meraviglie e Lazzaro felice. In questo caso, però, sostanziato visivamente nel gesto della profanazione delle antiche aree funerarie etrusche ad opera dei tombaroli. Siamo infatti negli anni ’80, nel boom del traffico illecito dei tesori archeologici, i semplici ladruncoli locali altro non sono che piccoli ingranaggi di un potere criminale estraneo, l’occulto profanatore del sacro. Tra loro emerge di bianco vestito la figura silenziosa di Arthur (Josh O’Connor, il giovane Prince Charles di The Crown, che dice “di aver passato con Alice l’esperienza cinematografica più speciale della mia vita ad oggi”), un giovane archeologo inglese, creatura aliena, sensibile e sensitiva in grado di percepire il vuoto sotterraneo, ovvero di far emergere – scavando – ciò che è segreto, misterioso e invisibile.

Quasi da controcampo di Lazzaro il risorto, ma anche da novello Orfeo riscattato, Arthur è colui che può far risorgere il passato, varcando la soglia di un Aldilà tanto ancestrale, quanto recente, rappresentato dal lutto della fidanzata prematuramente scomparsa. Ma il passato riferito da Rohrwacher è anche il proprio, i cui frammenti di memoria adolescenziale sono osmotici a quei territori, luoghi ricchi di fascino e mistero, ma soprattutto di un passato individuale e collettivo inviolabili. La chimera, metafora ultima dei desiderata di chiunque ne abbia o meno coscienza, intreccia e prolifica i livelli di senso della questione, indagandone le radici, le nostalgie emotive, celebrandone i fantasmi in controluce, e sorvolando come gli uccelli visivamente e acusticamente onnipresenti del film gli straordinari e contraddittori aspetti del vivere, dell’amare, del morire. Dove sono le donne, ancora una volta, l’ancora di salvezza che si propaga da una generazione all’altra. Formalmente potente e complesso nella sua mescolanza di formati e pellicole in cui è girato – 16, super16 e 35 mm – ma anche di generi e di registri, pieno di musica di ogni tempo, questo nuovo lavoro di Rohrwacher, il più lungo della sua filmografia ad oggi – dissemina tra i pregi anche alcune criticità nel segno della ridondanza. Queste si manifestano forse nell’esigenza di raccontare troppo, tutto, sovraccaricando così un equilibrio difficile da bilanciare, in cui ogni suggestione vuole legittimare un proprio spazio, talvolta anche in maniera un po’ forzata. Il film è interpretato, tra gli altri, anche da Alba Rohrwacher e Isabella Rossellini. Co-prodotto da Tempesta con Rai Cinema insieme a Francia e Svizzera, uscirà per 01 Distribution.

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