Cinema

Ken Loach e l’addio al cinema, The Old Oak è il vibrante testamento di un artista-combattente

di Anna Maria Pasetti

Lo ha detto, sarà il suo ultimo film. Ma nessuno vuole crederci, o meglio nessuno vuole accettarlo. All’inevitabile domanda, Ken Loach risponde: “Questa cosa non è importante, abbiamo cose più urgenti di cui parlare”. Al suo 27° film e alla vigilia degli 87 anni, Mr Loach non perde un millimetro della sua voglia di combattere, dietro alla macchina da presa così come davanti a stampa e pubblico che si emozionano sempre ad incontrarlo. Quasi un “vate” di politica dal basso, l’ultimo dei pionieri evergreen a credere che la sinistra possa (perché deve) sostenere i diritti della working class, e costruire una società civile finalmente più equa, Ken Loach ha presentato oggi in concorso a Cannes The Old Oak, un lavoro forse testamentario, certamente coerente con la sua vocazione da regista, da militante e da essere umano. Un film che mette al centro un pub – The Old Oak – come ultima frontiera di una resistenza ormai isolata. E due comunità disperate che tentano di unire le forze, nonostante differenze e diffidenze reciproche ne complicano comunicazione e accettazione. Un testo che con il sodale sceneggiatore Paul Laverty è tornato a girare ed ambientare nel nord est d’Inghilterra in cui si racconta la solidarietà tra poveri di culture distanti in un borgo di tradizione mineraria caduto in disgrazia nella zona di Durham. “Forza, solidarietà, resistenza possono essere le parole per il nostro tempo. Ma io suggerirei di aggiungervi: agitare, educare, organizzare. Perché senza l’organizzazione non potremo mai vincere la nostra battaglia per un mondo migliore”, dichiara Loach col fervore di un giovane sindacalista.

The Old Oak, in effetti, mostra una forma di organizzazione spontaneamente costruita dalla comunità degli ex minatori – o figli dei minatori della zona – che sopravvivono a una depressione collettiva, economica e individuale senza precedenti e si raccolgono nell’unico pub ancora aperto in zona, insieme a quella dei rifugiati siriani accolti nel 2016 nel Nord Inghilterra su concessione governativa. Sono loro, vittime di guerra con parenti deceduti e case devastate, ad andare incontro agli inizialmente ostruzionistici inglesi, che sentono i propri esigui diritti sfuggire a favore dei nuovi arrivati. Ma una guerra tra poveri sarebbe il peggiore dei mali. Per questo Laverty e Loach hanno trovato la formula di un racconto cinematografico che celebri la speranza. “Che è una questione politica. È la fiducia che le cose possano cambiare, e questo non possiamo assolutamente pensarlo per le destre ora al potere in mezza Europa. Noi dobbiamo armarci di questa speranza politica per smascherare le loro menzogne. Noi – Paul ed io – crediamo fermamente che un giorno chi sta dalla parte del giusto potrà vincere. La forza e il talento ci sono”. Se le parole del duo di amici e militanti solidali è da sempre un“manifesto politico” programmatico, la traduzione in cinema, e in particolare in questo film, si è ancora ammantata di tanta poesia, dolcezza, umanità profondissime.

In un universo di sopravvissuti dalle vite salvate da cani e dalle identità rivelate da una fotocamera, l’urgenza degli emarginati sociali non può più appellarsi alla carità, bensì alla solidarietà collettiva e partecipata. “We eat together, we stick together” (“Mangiamo insieme, restiamo insieme”) declama Yara, la giovane siriana protagonista, fuggita dalla guerra con madre e fratelli piccoli, lasciando il padre prigioniero in Siria. Sono le sue parole, e i suoi gesti coerenti da fotografa amatoriale che osserva e “coglie” il bello delle persone attorno a lei, a convincere TJ, il gestore del pub, uomo ferito da perdite, solitario e depresso, ad avviare una sorta di mensa del villaggio, condivisa e gratuita per tutti, nel retro del suo pub. Il loro incontro diviene dunque la miccia che scatena il percorso di comunicazione, conoscenza e infine reale condivisione tra le due comunità al basso della scala sociale, descritte come sempre con altissima dignità e mai deprivate di tutte le loro complessità. The Old Oak è un film umanista, teso, intenso ed emozionante nella tradizione del cinema “loachiano” che sa sfidare la politica tenendosi però saldamente connesso alle istanze più profonde della condizione umana. In definitiva è il vibrante testamento di un artista-combattente che ci invita ancora a credere nelle persone e nei valori sopra elencati ma anche alla memoria in duplice direzione: quella del passato da recuperare e conservare, e quella del presente da preparare e valorizzare per il futuro. The Old Oak uscirà in Italia prossimamente per Lucky Red.

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