Se tutti gli interventi previsti dalla delega fiscale saranno davvero attuati, per finanziarli sarà necessaria “una riduzione permanente della spesa pubblica che, anche alla luce dei bisogni che saranno determinati in prospettiva dall’invecchiamento della popolazione, richiederebbe plausibilmente una ridefinizione del livello dei servizi pubblici e delle platee dei beneficiari“. Dopo le perplessità espresse dalla Banca d’Italia e le preoccupazioni elencate dalla Commissione europea, sulla riforma immaginata dal governo Meloni arriva anche il giudizio dell’Ufficio parlamentare di bilancio. La presidente Lilia Cavallari nella memoria inviata al Parlamento avverte come – in assenza di coperture strutturali – la flat tax, il superamento dell’Irap, la revisione della tassazione dei redditi finanziari e l’applicazione della cedolare secca anche agli affitti di immobili commerciali siano destinati a tradursi in un taglio del welfare. Se, proprio a causa della mancanza di coperture, l’applicazione fosse solo parziale, l’esito sarebbe altrettanto negativo: il rischio è quello di rendere il sistema “ancora più frammentario di quello vigente e con maggiori criticità dal punto di vista dell’equità e dell’efficienza“.
Anche se gli obiettivi prioritari del ddl sono definiti “ampiamente condivisibili”, l’elenco dei punti “particolarmente problematici” è lungo. L’analisi parte da quello che secondo il governo dovrà essere il punto di approdo della delega nell’orizzonte di legislatura: un’aliquota unica per tutti i contribuenti indipendentemente dal livello del reddito. “Il passaggio dalla progressività a scaglioni dell’Irpef attuale a uno schema di progressività ad aliquota unica determina effetti redistributivi che penalizzano i soggetti con redditi medi e favoriscono quelli con redditi più elevati a meno di rinunciare a una elevata quota di gettito”, scrive l’Upb nella memoria al Parlamento. Non è un caso del resto se la flat tax non è applicata in nessuna delle economie più avanzate ma solo in Paesi in fase di sviluppo con sistemi di welfare limitati o in piccoli paradisi fiscali come Guernsey e Jersey. Stroncate anche le misure previste nella fase di avvicinamento, a partire dall’estensione ai dipendenti della flat tax incrementale, che “riduce l’equità orizzontale” tra contribuenti con lo stesso reddito e “altera in modo erratico il profilo di progressività dell’imposta”. Oltre ad essere “poco giustificabile anche sotto l’aspetto dell’efficienza, visto che l’aliquota agevolata non è applicata solo a somme la cui percezione risulti effettivamente legata a incrementi di produttività, qualità e innovazione”. A smentita delle tesi sostenute dal viceministro con delega al fisco Maurizio Leo.
L’organismo indipendente ha molti dubbi anche sulla revisione della tassazione dei redditi finanziari. Sono gli stessi di cui ilfattoquotidiano aveva scritto a fine marzo. La delega prevede su questo fronte il “progressivo superamento della distinzione tra redditi di capitale e redditi diversi e l’armonizzazione dei regimi di tassazione”, attraverso la creazione di un’unica categoria reddituale e dunque superando l’attuale divieto di compensazione fra i proventi di una categoria e le perdite di un’altra. Si punta inoltre all’adozione generalizzata del principio di cassa: vale a dire che si pagheranno le tasse solo sulle cifre effettivamente realizzate. In linea di principio la semplificazione è benvenuta, ma ci sono due problemi. Da un lato l’applicazione generalizzata del criterio di cassa “potrebbe accentuare ulteriormente l’incentivo al differimento della realizzazione dei redditi per differire anche il prelievo”, dall’altro – questa è la preoccupazione principale – la possibilità di compensare proventi e perdite di redditi di capitale e redditi diversi “potrebbe incentivare comportamenti elusivi” inducendo a “generare minusvalenze fittizie da utilizzare per rinviare anche a lungo la tassazione”. Con la conseguenza di “una riduzione – peraltro difficilmente quantificabile – del gettito derivante dalla distribuzione di dividendi e dalla percezione di interessi”. Già nel 2021 l’ex direttrice generale del dipartimento delle Finanze Fabrizia Lapecorella, aveva avvertito che una scelta del genere avrebbe potuto “annullare” quel gettito. Che ammonta a oltre 10 miliardi l’anno stando agli ultimi dati del Mef sul 2021.
Per quanto riguarda la tassazione sui redditi delle società, la delega stabilisce un sistema duale: accanto all’aliquota ordinaria ora al 24% dovrebbe arrivarne una ridotta sugli utili non distribuiti che siano destinati investimenti e nuove assunzioni entro i due periodi di imposta successivi. La messa in pratica dello slogan meloniano “più investi e assumi meno paghi“. Il giudizio dell’Upb? “Il disegno di riforma sembra abbandonare l’obiettivo di neutralità tributaria sulla scelta delle fonti di finanziamento e le sue finalità complessive sono difficili da individuare“. Nel merito, il vincolo di destinazione degli utili agevolati sarà un incentivo alla crescita “solo per le imprese più “in salute” e più dinamiche” mentre “non appare efficace per le imprese di nuova costituzione” e per quelle in difficoltà. Raggiungere l’obiettivo dichiarato di spingere la crescita e la competitività appare assai complicato visto che per mantenere la parità di gettito “diverrebbe necessario compensare basi imponibili equivalenti a quelle attuali o anche più ristrette con un livello della aliquota media effettiva più elevata. Il risultato finale sarebbe quindi in controtendenza rispetto all’obiettivo“. Dubbi analoghi li suscita il “graduale superamento dell’Irap“, da cui deriva un gettito annuo di quasi 30 miliardi: la sostituzione con una sovraimposta all’Ires “potrebbe generare, volendo assicurare la parità di gettito, un significativo innalzamento dell’aliquota societaria”.
I maggiori interrogativi li suscita però l’intenzione dichiarata di ridurre il carico tributario senza “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica” e al tempo stesso senza aumentare la pressione fiscale per nessuno. Nemmeno per chi, per esempio, paga imposte molto basse sulle seconde case nei centri storici per effetto di rendite catastali obsolete, su cui la maggioranza di centrodestra non ha alcuna questione di intervenire. Come si dovrebbero coprire allora gli eventuali ammanchi di gettito? Il governo dice di puntare sulla revisione delle spese fiscali ma prevede molte importanti eccezioni che ridurranno di molto le risorse recuperabili. E immagina di ricorrere alle risorse del Fondo creato con la legge di Bilancio 2021 e alimentato con le maggiori entrate permanenti derivanti dal miglioramento dell‘adempimento spontaneo. Quelle già appostate, però, sono state spese nel 2022 e 2023. E se anche l’attuazione della delega aumentasse la compliance dei contribuenti, il gettito aggiuntivo potrà essere impiegato solo dopo tre anni, una volta certificato che non sia una tantum. Di qui il timore che con i decreti attuativi si prenda la scorciatoia di tappare i buchi aumentando il deficit o riducendo i servizi ai cittadini.
Gli emendamenti annunciati dalla maggioranza la scorsa settimana e depositati oggi non promettono nulla di buono sul fronte del recupero di coperture, considerato che tra le richieste ci sono l’abolizione del superbollo per le auto di grossa cilindrata e la soppressione della Tobin tax sulle speculazioni finanziarie.