Musica

Marco Mengoni a FqMagazine: “Ho paura per alcuni temi che si affrontano in Italia. La bandiera rainbow a Eurovision era un appello per diritti e libertà”

“Prisma” chiude la trilogia di “Materia”, dopo “Terra” e “Pelle”. Questo disco più diretto di Mengoni che espone il proprio pensiero senza fronzoli e mettendosi a nudo coi sentimenti

di Andrea Conti

Un album politico, pieno di rabbia ma anche di speranza per il futuro. Oggi, come non mai, Marco Mengoni si espone nel nuovo disco “Prisma”, ultimo capitolo della trilogia terra dopo “Terra” e “Pelle”. Un anno sulla cresta dell’onda per il cantautore che dopo la vittoria al Festival di Sanremo 2023 con “Due Vite” si è posizionato al quarto posto all’Eurovision Song Contest, aggiudicandosi il Marcel Bezençon Composer Award, il premio assegnato per la miglior composizione da tutti gli autori dei brani in gara. Ora l’uscita di “Prisma”, trainato dal singolo (c’è da scommettere che sarà tra le hit di questa estate) “Passa Musica” in duetto con Elodie.

Il brano, che c’è da scommettere sarà tra le hit di questa estate, è stato scritto da Paolo Antonacci, Davide Petrella, Davide Simonetta e Stefano Tognini (Zef) e prodotto da E.D.D., Simonetta e Zef. “Ho condiviso con Elodie molti pensieri – ha spiegato Mengoni -. Tra le quali la paura e l’ansia di fare questo mestiere che, a volte, ci assale. Poi è sempre la musica che ci spinge a andare avanti”. Tra le altre collaborazioni c’è Ernia in “Fiori d’orgoglio”: “Mi sono innamorato subito di questo pezzo”, mentre Jeson è in “Lasciami indietro”. Una collaborazione inedita con il giovane cantautore romano che firma anche il brano con il suo sound rap e R&B. Tra i brani più intensi del disco “Incenso”, “In Tempo” e “Due Nuvole”.

Il 17 giugno partirà il tour Marco Negli Stadi con sold out per le date di Bari, Bologna e Milano. Le altre tappe sono Bibione, Padova, Salerno e Torino. Gran finale live il 15 luglio al Circo Massimo. In autunno il primo tour nei grandi spazi europei.

Come riassumeresti questo disco?
C’è tanto di Marco arrabbiato. Arrabbiato per il non saper dire di no, di non prendersi cura di sé stesso, arrabbiato perché vorrebbe un mondo diverso con persone che entrino in sintonia con la mia.

La canzone più “politica” del disco è “The damned of the earth”. Perché parli di “buco nero che può ingoiare un uomo intero”?
È ispirato a un saggio di antropologia psichiatrica e contiene spunti e messaggi e parole sulla società che vivo, sicuramente c’è la storia che abbiamo vissuto e che qualcuno ha studiato, qualcun altro invece non ha studiato.

Da dove nasce l’esigenza di prendere posizione?
Espongo il mio punto di vista su tanti temi, compreso il caporalato (viene citato nel testo, ndr) che è una piaga che affligge non solo l’Italia, ma anche altri Paesi nel mondo. Questo tema, come tanti altri, ha come filo comune i diritti, le libertà e l’evoluzione della nostra società. Il diritto inalienabile dell’uomo è quello della libertà, del sentirsi libero di poter esprimere il pensiero.

Come la vedi la situazione attuale?
C’è ancora molto da fare ed è per questo che le paure del passato si riversano sul presente e io per primo ho paura soprattutto per alcuni temi che si stanno affrontando nel nostro Paese. Non è un caso che io usi in questa canzone una frase di Mandela “Our march to freedom is irreversible, we must not allow fear to stand in our way’. Una marcia per la libertà, una battaglia di donne e uomini liberi che non è mai abbastanza specialmente nel momento in cui mi sembra si facciano passi indietro. Ci sono tantissime voci che urlano e gridano in questa canzone, c’è la speranza che la donna possa essere veramente libera col proprio corpo e che tutti si possano sentire di essere sé stessi.

Non avverti nessun cambiamento?
No perché da tredici anni sui miei palchi e nei miei dischi racconto ancora di come sento che stia sfuggendo l’aspetto umano della società, dal momento che viviamo in un mood talmente veloce che ci si sofferma poco sui temi più importanti.

Come mai hai deciso di sventolare la bandiera LGBTQ+ sul palco di Eurovision?
Ho preso questa decisione prima di salire sul palco. Questa è una bandiera che è un simbolo di inclusività verso le minoranze che compongono la nostra società, che poi messe insieme minoranze non sono. Se l’Europa sembra un po’ più avanti su tanti temi, noi siamo ancora un po’ indietro. Siamo liberi più di ieri ma non è abbastanza. Salendo sul palco con quella bandiera volevo mandare un messaggio ossia che tanti la pensano come me, siamo uniti per la musica ma anche per la libertà individuale

Qual è stato il feedback?
Devo dire che per questo messaggio finalmente ho avuto anche critiche negative, pochissime, ma ci sono state. Meglio dare fastidio se questo consente di smuovere le coscienze. Comprendo che ci possano essere persone che la pensino in maniera diversa da me, cerchiamo però di non cadere nell’assolutismo del pensiero. Per la realtà che vivo io, criticare la bandiera rainbow per me è anacronistico, fuori dal tempo. In ogni caso se non sta bene quello che penso meglio cambiare persone che cambiare la propria vita.

Da dove nascono queste consapevolezze?
Cerco di non staccarmi dalla realtà, frequento persone anche lontane dal mio mondo, che non pensano che sia un dio dell’olimpo musicale, che non è quello con uno stuolo di assistenti. Cerco di vivere nella società che stride con il mondo in cui vivo.

Sei nel frullatore mediatico dalla trilogia Materia al tour europeo. Non sei stanco?
Se mi fermo è peggio. Sono in un calderone di emozioni e lo so benissimo per questo ne parlo con la mia terapista, anche per cercare di attraversare questo momento in cui sto vivendo moltissime emozioni. Questo è un lavoro bellissimo, ma ti toglie tanto. La vita privata, ad esempio.

Cioè?
Quando rientro a casa non voglio vedere nessuno. Lo so che sembra assurdo ma mi serve per staccare. Dopo tutti questi impegni vorrei ricominciare a viaggiare. Per me il viaggio è essenziale per scrivere e per le idee. Dopo Eurovision ho capito che sono cittadino del mondo e mi piacerebbe vivere per un po’ di tempo in un luogo, diverso dall’Italia.

Per vivere nell’anonimato?
No per calarmi in una società completamente diversa. Io ho vissuto in Florida, a New York, a Madrid… Poi sono sempre tornato a Milano, che è la città dove vivo. Non potrei nemmeno assentarmi più di tanto perché se no le piante chi me le cura (ride, ndr). Non è che è sufficiente annaffiarle, io parlo alle piante, le accarezzo.

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