di Leonardo Botta
Ieri un improvviso nubifragio si è scatenato a pochi chilometri da casa mia, nel comune di Forino (AV). In tre ore (dall’una alle quattro di pomeriggio) ottanta millimetri d’acqua si sono rovesciati sul comune avellinese: circa il doppio di quanto piove mediamente nell’intero mese di maggio in questa zona.
L’evento si è rivelato del tutto inatteso: nessuna previsione di allerta meteo (né rossa, né arancione, né gialla) era stata diramata dalla Protezione Civile campana (talvolta succede anche questo, i modelli previsionali non sono una scienza esatta).
Purtroppo un uomo di 45 anni, Michele, è stato sorpreso dalla piena nel proprio castagneto, mentre cercava di recuperare la propria auto per allontanarsi: non ha fatto in tempo. L’hanno ritrovato poche ore dopo, privo di vita; gli sia lieve la terra.
Mentre leggevo la terribile notizia, pensavo a come cambia anche il lessico relativo a certi fenomeni: da piccolo studiavo il vocabolo “acquazzone” con la maestra, per imparare le parole con la doppia zeta. Quando ero più grande, commentavamo nel nostro dialetto qualche “‘ncasata d’acqua” che ci costringeva a interrompere le nostre partitelle pomeridiane per strada. Oggi gli esperti, in ogni emergenza idrogeologica contano il numero di “bombe d’acqua” verificatesi (una ventina una settimana fa solo in Emilia Romagna); sembrano bollettini di guerra, ma non si capisce in questa guerra meteorologica chi sia l’aggressore. Non credo Madre Natura.