Prima l’ha costretta a una violenza sessuale, poi si è approfittato di lei, stordita dalla droga. Quando lei si è svegliata e ha ribadito il suo dissenso lui l’ha uccisa e fatta a pezzi. E’ la ricostruzione del femminicidio di Pamela Mastropietro, 18 anni, contenuta nelle motivazioni della sentenza che ha condannato all’ergastolo Innocent Oseghale, nigeriano che all’epoca aveva 29 anni. Il delitto avvenne a Macerata il 29 gennaio 2018. Si tratta, in particolare, delle motivazioni scritte al termine del processo bis dai giudici della Corte d’assise di appello di Perugia che dovevano pronunciarsi sulla aggravante di violenza sessuale. Si ritiene “fondatamente affermata la ricorrenza della contestata aggravante a carico dell’imputato” ossia “aver commesso l’omicidio in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale” è la conclusione della Corte, secondo quanto scritto ieri dall’agenzia AdnKronos. “Non condividiamo le motivazioni e proporremo ricorso in Cassazione convinti dell’estraneità dell’imputato rispetto all’ipotesi della violenza sessuale” ha sottolineato l’avvocato Simone Matraxia che insieme a Umberto Gramenzi difende Oseghale.

Secondo le motivazioni della sentenza, da parte di Oseghale c’è stata una “iniziale violenza di tipo costrittivo – divenuta ‘necessaria’, nel palesato dissenso di Pamela una volta resasi conto delle reali intenzioni del suo partner” che secondo quanto ricostruito dalla Corte ha voluto un rapporto non protetto. In seguito c’è stato un “approfittamento – senza soluzione di continuità alcuna – dello stato soporoso ormai completamente manifestatosi nella vittima” che, come ricostruito, era sotto l’effetto dello stupefacente appena assunto. Dopo aver subito la violenza, un rapporto sessuale non protetto, e con il “progressivo scemare” degli effetti della droga, Pamela ha gradualmente ripreso coscienza e non ha “esitato a ribadire il proprio aperto dissenso a siffatte modalità dell’atto sessuale”, avvenuto senza l’uso di protezione, “incorrendo però nell’abnorme reazione di Oseghale” che non ha “esitato ad ucciderla“. La Corte, che nel corso dell’appello bis ha ascoltato due uomini con i quali la ragazza ebbe rapporti prima di incontrare Oseghale e, anche sulla base del “supplemento istruttorio” svolto, ritiene che “Pamela non avrebbe mai potuto acconsentire – né aveva acconsentito – ad un rapporto sessuale non protetto con l’imputato”.

Accettando l’invito a casa di Oseghale, secondo quanto riportano ancora le motivazioni della Corte, Pamela “seppur ben consapevole della prospettiva – ragionevolmente prevedibile e concretamente ineludibile, date le circostanze, anche ove fosse mancato un esplicito accordo in tal senso – di doversi sessualmente intrattenere con lui in cambio della procurata disponibilità dello stupefacente”, era “‘tranquilla’ perché aveva ancora con sé i due profilattici” che dunque “le assicuravano la ‘tranquilla’ prospettiva di consumare un rapporto sessuale con quell’uomo senza rinunciare alla necessaria protezione“.

Al momento dell’ingresso nell’abitazione in compagnia di Oseghale, Pamela “non aveva ancora assunto lo stupefacente, avendo acquistato la siringa soltanto poco prima in farmacia” ed “certo è che Oseghale aveva volutamente ritardato il momento di assunzione dello stupefacente da parte di Pamela proprio al fine di condurla presso la sua abitazione e qui ‘ricevere’ il corrispettivo più o meno esplicitamente concordato (ovvero implicitamente sottinteso) e cioè intrattenersi sessualmente con lei”. Secondo la Corte “deve ritenersi che Pamela, una volta giunta nell’appartamento di Oseghale, avesse deciso di soddisfare per prima cosa il più urgente bisogno che in quel momento l’attanagliava: assumere pressoché immediatamente la droga” anche perché non era più coperta dalle terapie che venivano somministrate in comunità. Secondo la Corte “Oseghale, pretendendo al fine di consumare un rapporto senza protezione alcuna in difformità dagli accordi esplicitamente presi (o comunque implicitamente sottintesi) aveva preso dapprima a percuoterla e colpirla per vincere la resistenza della ragazza che, però, diveniva sempre più flebile al progressivo manifestarsi degli effetti dello stupefacente appena assunto”. Poi – iniziato l’effetto della droga – sulla ragazza “aveva portato a termine l’atto sessuale” senza curarsi “di utilizzare protezione alcuna” e “agendo dunque in sprezzante trasgressione di quelle modalità di consumazione assai più sicure che la povera Pamela non poteva non aver richiesto o, comunque, dato per ‘scontato’ in considerazione delle connotazioni del rapporto e dell’essere lei stessa in grado di fornirgli i due profilattici”.

Secondo la ricostruzione contenuta nelle motivazioni, la ragazza, man mano che è finito l’effetto della droga ed è tornata in sé “non poteva non essersi resa conto” del rapporto con “modalità non protette”. E da ciò è insorto “un acceso contrasto fra i due”: Pamela, secondo la Corte, ha trasformato “la sua legittima rabbia – per essere stata abusata senza alcuna protezione approfittando della sua minorata e poi nulla capacità di difesa – in aperta e veemente contestazione nei confronti di Oseghale; palesandogli la gravissima offesa subita e – al contempo – l’intenzione di non lasciar ‘cadere lì’ quella turpe azione”. Oseghale, secondo quanto ricostruito dalla Corte, “di fronte ad una così inaspettata reazione della ragazza” ha “deciso di risolvere il problema aggredendola fisicamente con le due coltellate sino portare a termine l’azione omicidiaria mediante le modalità e le forme già incontrovertibilmente accertate; dedicandosi poi, con fredda lucidità, a cercare di far scomparire totalmente le tracce biologiche che avrebbero potuto ricondurre alla sua persona”.

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