La comunità terapeutica Shalom di Palazzolo sull’Oglio, in provincia di Brescia, nasce nel 1986 per volontà di suor Rosalina Ravasio. All’inizio ospita soprattutto tossicodipendenti, ma in poco tempo diventa un punto di riferimento nel nord Italia, arrivando ad ospitare circa 300 persone con diverse problematicità, tra cui anche minorenni e donne con figli minori.

Nell’aprile del 2022 Fanpage.it ha ricevuto una segnalazione: dentro la comunità si consumerebbero delle violenze, fisiche e psicologiche. Backstair, il team d’inchiesta di Fanpage.it, dopo aver raccolto 13 testimonianze di persone che non si conoscevano tra di loro e che erano state ospiti della comunità in periodi diversi, le quali hanno raccontato di violenze e punizioni ai limiti dell’immaginazione, si infiltra dentro la comunità, tramite una giornalista che si presenta come volontaria, per scoprire la vera natura di Shalom, quella rimasta lontano dai riflettori.

Dopo 37 anni, la fondatrice Rosalina Ravasio ancora oggi gestisce la comunità, insieme ad altre consacrate. È lei ad avere il controllo totale di Shalom, grazie all’aiuto dei suoi fedelissimi collaboratori. La comunità ospita circa 250 persone: non solo tossicodipendenti, anche persone con disturbi alimentari, persone affette da patologie psichiatriche, minori con problemi relazionali e condannati, in comunità per scontare la pena.

La giornalista sotto copertura riprende le violenze psicologiche, le vessazioni e le punizioni cui sono sottoposti gli ospiti della comunità. Gli ospiti arrivano soprattutto accompagnati dalle famiglie e spesso non sono a conoscenza della durata del percorso, che è minimo di cinque anni. Alla Shalom vige una gerarchia precisa: i ragazzi appena entrati si chiamano “gnari” (in dialetto bresciano); poi ci sono i “mezzi”, in comunità da circa due anni, a cui viene affidato il compito di seguire gli “gnari”; e infine i “vecchi”, in comunità da oltre cinque anni, a cui vengono affidati ruoli di responsabilità, pur essendo essi stessi ancora degli ospiti inseriti in un percorso terapeutico.

La terapia a cui vengono sottoposti tutti gli ospiti è la “cristoterapia”, la terapia della fede. “Se la suora sapeva che non pregavi, ti insultava in tutti i modi”, “la preghiera è obbligatoria”, “in Shalom si sta in ginocchio anche per quattro ore di seguito a fare le adorazioni, persino i bambini sono costretti a farlo”, raccontano alcuni ex ospiti.

Come testimoniano le persone che hanno trascorso un periodo dentro la comunità di Rosalina, alla Shalom vigono regole molto rigide e chi le trasgredisce è soggetto a punizioni, che si consumano tra i laboratori e la “legna”, una zona nascosta della comunità, dove ad esempio si è sottoposti alla punizione della “carriola”: “Prendono una carriola, la caricano di sassi e c’è una persona che vigila mentre giri, anche otto-nove ore al giorno”, spiega un ex ospite. E ancora la punizione del silenzio: gli ospiti vengono messi in un angolo a fissare il muro senza poter proferire parola con nessuno. Esiste anche la punizione dell’isolamento dove si finisce “quando la combini davvero grossa”, come spiega una delle consacrate alla giornalista infiltrata. “In punizione ci finivi per un nonnulla, anche se mangiavi una caramella più del dovuto”, raccontano gli ex ospiti.

Oltre alla “cristoterapia” e alle punizioni, a Shalom è previsto anche l’utilizzo degli psicofarmaci, somministrati dai “vecchi” stessi della comunità. Molti ex ospiti hanno denunciato di aver subito un vero e proprio abuso psichiatrico: “Tremavo, mi ero gonfiato tutto, non riuscivo a stare in piedi. Di notte mi facevo le feci addosso perché non mi svegliavo con lo stimolo”, dice un ex ospite. I “vecchi” però non sono formati per la somministrazione dei farmaci e, come afferma un ex ospite che lavorava in infermeria, non mancavano gli incidenti: “Una volta una ragazza aveva preso una doppia dose di Entumin, la sua temperatura corporea era scesa sotto i 33 gradi”.

Dentro la comunità si perpetrerebbe non solo la violenza psicologica, fatta di insulti e umiliazioni, che la giornalista sotto copertura riesce a immortalare, ma anche quella fisica, come raccontato da molte testimonianze e documentato anche da un video girato dai carabinieri durante le indagini nel 2013. “Mi hanno portato in un gabbiotto di legno e me le hanno date di santa ragione. Volevano darmi le medicine, ma ho detto di no e mi hanno colpito varie volte con il bastone”, afferma un ex ospite.

Rosalina Ravasio, nelle occasioni pubbliche e non, ribadisce che la sua comunità non riceve finanziamenti pubblici, ma “vive di provvidenza”. Backstair scopre come si finanzia realmente la comunità di Palazzolo sull’Oglio. La Shalom si compone di tre entità diverse, ma tutte fanno capo a Rosalina Ravasio: l’associazione Piccole Apostole, la congregazione di Rosalina a cui sono intestati terreni e appartamenti in cui si trova la comunità; la cooperativa Shalom Onlus, che si occupa dei rapporti lavorativi con l’esterno; l’associazione Regina della Pace, associazione culturale utilizzata per percepire donazioni e finanziamenti.

Backstair ha analizzato i bilanci pubblici del comune di Palazzolo sull’Oglio, scoprendo che a Shalom sono stati indirizzati negli anni dal 2012 ad oggi 42.124 euro. La comunità è oggetto anche di donazioni del 5×1000: dal 2008 al 2021 Shalom ha percepito 274.741 euro. Ma non solo: le entrate di Shalom consistono anche nelle numerose donazioni di familiari e imprenditori e nel lavoro svolto dagli stessi ospiti della comunità, compresi i minorenni. Nei bilanci della Shalom Onlus si legge che negli ultimi vent’anni il giro d’affari della cooperativa supera i nove milioni di euro, di cui oltre cinque sono rappresentati dalla sola voce “ricavi vendite e prestazioni”. Jason Mainetti afferma di aver iniziato a lavorare in comunità all’età di 12 anni: “C’erano ditte conto terzi che ci portavano all’interno dei prodotti. Ci ho lavorato quattro anni lì dentro, senza mai vedere un euro”.

Backstair scopre anche un giro di soldi legato agli stipendi dei dipendenti: al quarto o quinto anno di comunità, alcuni “vecchi” sarebbero assunti dalla cooperativa Shalom e i loro stipendi devoluti all’associazione Regina della Pace. “Se vai a vedere sul bilancio figurano centinaia di migliaia di euro di stipendi, ma in realtà sono tutti soldi che rientrano dentro la comunità sotto forma di donazioni. Noi non abbiamo mai visto un soldo da lì”, afferma un ex ospite ed ex dipendente della cooperativa.

Rosalina Ravasio si presenta al mondo come una suora. Nata nel 1949 a Calusco d’Adda, si consacra nell’ordine delle Orsoline a 21 anni, ma presto si dedica alla missione dei tossicodipendenti. Costruisce un vero e proprio piccolo regno, conquistando la fiducia di personalità di spicco, del mondo della chiesa e istituzionale, passando anche per quello dello spettacolo. Francesco Renga, Luisa Corna, Povia e Roberto Mancini sono passati più volte per la comunità di Palazzolo sull’Oglio. Una consorella di Rosalina Ravasio rivela a Backstair la verità: “È stata con noi alcuni anni, ma la sua chiamata non soddisfava quello che avevamo qua, per cui si è dimessa. Lei si fa chiamare suora, però non potrebbe”. Eppure Rosalina Ravasio si presenta come suora e firma i documenti ufficiali come suora. Alla domanda sul suo ordine di appartenenza, risponde: “Non devo di certo dirlo a lei. Io appartengo ad un disordine”.

Nel 2011 un gruppo di quattro ragazzi riesce a scappare dalla comunità, denunciando ai carabinieri i maltrattamenti e le violenze subite dentro la Shalom. Da quel momento la comunità di Rosalina Ravasio finisce sotto la lente della procura di Brescia. Le indagini porteranno all’imputazione di 42 persone: oltre alla fondatrice della comunità, Suor Rosalina Ravasio, alla sbarra finiscono anche i suoi collaboratori, i cosiddetti “vecchi”, che dentro la comunità di Palazzolo sull’Oglio, secondo quanto testimoniano gli ex ospiti, avrebbero perpetrato violenze e soprusi sugli ospiti. L’accusa, a vario titolo, è quella di maltrattamenti e sequestro di persona. Sono 36 le parti offese che testimoniano contro Rosalina e il suo metodo e tra questi c’è anche Gianmarco Buonanno, figlio di Tommaso Buonanno, all’inizio delle indagini procuratore capo di Lecco – oltre che membro del comitato etico della comunità Shalom – e poi finito a capo proprio della procura di Brescia. I pm che avevano condotto le indagini – Leonardo Lesti e Francesco Piantoni – lasceranno la procura a pochi mesi dall’inizio del processo, a sostituirli nel processo c’è Ambrogio Cassiani. Sarà lui a chiedere l’assoluzione di tutti e 42 gli imputati, difendendo nella sua requisitoria il metodo della Shalom e ritenendo inattendibili tutte e 36 le testimonianze: “Ci saranno che escono ogni anno quei 50, 60 ragazzi che finiscono il periodo, perché questi non sono stati sentiti? Perché io qua ho 36 persone che ne parlano male, ma perché non sono mai state sentite le altre centinaia, centinaia non 36, che hanno invece ottenuto, non dico enormi benefici, ma la salvezza della propria esistenza?”. Il 28 giugno 2018 il tribunale di Brescia si pronuncia: 40 assoluzioni e due condanne per il caso Buonanno. Nella comunità, secondo quanto stabilito dal collegio presieduto da Roberto Spanò, non ci sono stati maltrattamenti: “Il fatto non sussiste”. Un anno dopo la prima sentenza, anche gli ultimi due condannati verranno assolti in secondo grado: anche in quel caso, “il fatto non sussiste”.

Il 24 settembre 2022 Rosalina Ravasio organizza un convegno in comunità: “Le ombre nere della giustizia”. Tra i relatori spiccano i nomi di Paolo Savio – per anni sostituto procuratore a Brescia e oggi nel pool della Direzione nazionale antimafia – e Luca Palamara, ex presidente dell’Anm. Alla fine del convegno, nel ringraziare tutti, Rosalina Ravasio nomina un altro magistrato, che va a salutare in prima fila: è Ambrogio Cassiani, oggi sostituto procuratore di Velletri, il pm che quattro anni prima aveva chiesto l’assoluzione per Ravasio e gli altri 41 imputati.

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