Pubblichiamo la prefazione del libro “Lettera a una professoressa del nuovo millennio. Dalla scuola di Barbiana alla scuola di oggi” (BUR Rizzoli) di Alex Corlazzoli, docente e collaboratore del fattoquotidiano.it. Nel 1967 ‘Lettera a una professoressa’, il testo scritto da don Lorenzo Milani insieme ai suoi alunni della scuola di Barbiana, rivoluzionò il mondo dell’istruzione italiana, mettendo per la prima volta al centro le idee e il punto di vista degli studenti a cui finalmente veniva data parola. In occasione del centenario della nascita di don Milani, l’autore e un gruppo di studenti hanno deciso di prendere spunto dalla lettera di Barbiana per proporre una nuova e originale lettera dedicata alla scuola e al mondo di oggi.
Ciò che ne esce è un testo agile e snello dove sono cambiati i protagonisti (gli analfabeti non sono più i montanari ma i migranti; il problema non è più la professione del papà come negli anni Sessanta ma il livello d’istruzione dei genitori) ma il cuore della questione è rimasto: ieri come oggi la scuola perde i suoi alunni; non si legge il giornale in classe; si boccia alla scuola primaria; non si fa sul serio educazione civica e ancora non esiste quella sessuale. Nella “Lettera” del priore si proponevano tre riforme: “Uno, non bocciare. Due, a quelli che sembrano cretini dargli la scuola a tempo pieno. Tre, agli svogliati bisogna dargli uno scopo”. Anche Corlazzoli e i suoi ragazzi azzardano tre proposte per cambiare la scuola. Qui sotto un estratto del capitolo “La Costituzione” (presente anche nel testo milaniano) e le nuove tre riforme.
Costituzione – Col programma di solito ci fermiamo alla Seconda guerra mondiale. “Esattamente al punto” si diceva in Lettera a una professoressa “dove la scuola può riallacciarsi con la vita”. Questo vuol dire che arriviamo alla quinta superiore senza aver mai preso in mano la Costituzione. Ce la regalano, i sindaci, al compimento dei 18 anni, ma pensiamo che dovrebbe entrare nelle nostre vite molto prima, già dalla prima media.
Costituzione. Alle elementari, è solo una parola. In quinta si impara la differenza tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Io sono stato fortunato, mi hanno spiegato qualcosa in più sulla Carta costituzionale. Mi hanno fatto scrivere e disegnare i primi dodici articoli su cartellone giallo, mi hanno anche portato a conoscere il sindaco e mostrato com’è fatto un consiglio comunale. Ma di solito si passa velocemente alle Regioni: sono venti e il programma va finito. Guai ad andare alle medie senza aver fatto il Veneto o il Piemonte!
A scuola impariamo a memoria le tabelline fin dalla terza elementare. E così i verbi, le preposizioni semplici e articolate. Quello che mi stupisce è che non impariamo mai allo stesso modo un solo articolo della Costituzione. Non è strano? Eppure ci servirebbe nella vita, al pari di sapere quanto fa nove per sette o il futuro anteriore di mangiare. Nella nostra attuale aula abbiamo il vocabolario, anche quello dei sinonimi e contrari, ma non la Costituzione. Non conosco nessuno dei miei compagni che sia mai andato a cercarla nella biblioteca della scuola. L’unico professore che di solito ne parla è quello di diritto, per chi lo fa. Agli altri docenti sembra non interessare se noi la conosciamo o meno. Il risultato è che molti di noi, per esempio, non sanno nemmeno che c’è un articolo che parla della scuola, il 34: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. È qui che la scuola si riallaccia con la vita. Se conosco la Costituzione posso dire se una legge approvata dal Governo in carica è anticostituzionale o meno. Se voglio organizzare una manifestazione so come devo fare. Se mi ferma la polizia so come si dovrebbe rapportare con me. Se devo andare a votare so farlo con consapevolezza, e quindi libertà.
Perché l’istruzione serva alla vita.
1) Introdurre l’ora di attualità, di diritto e di educazione sessuale.
Vogliamo imparare a essere cittadini. Non ci accontentiamo di una scuola che ci forma, vogliamo una scuola che ci informa. Vogliamo entrare nelle vene della storia, sapere quello che accade fuori dalla nostra aula, nella nostra città, ma anche a migliaia di chilometri da casa. Viviamo in una democrazia e questo comporta che ci venga chiesto di scegliere chi governa il nostro Paese. Solo chi è davvero informato può farlo. Per la stessa ragione, l’ora di diritto non può essere una prerogativa di pochi, ma il diritto di tutti. Così come l’educazione sessuale non dev’essere un tabù, un’appendice, un progetto extracurriculare. Quale altro luogo può essere deputato a parlare della vita nella sua interezza, se non la scuola? Se un giorno saremo padri e madri responsabili, uomini e donne consapevoli, sarà anche grazie a voi.
2) Riforma dei cicli.
Serve un nuovo modello di scuola che tenga conto di come sono cambiate le generazioni e il mondo che ci circonda. Il passaggio dalle medie alle superiori, a 13 anni, è un salto nel vuoto a cui si arriva senza il viatico necessario. L’arrivo alle superiori è un rito di passaggio alla pari dell’esame di Stato della maturità, spesso si passa dall’andare a scuola nel paese dove si è cresciuti a una dimensione urbana più grande che esige maggiori responsabilità e assunzione di autonomia. Scegliere la scuola secondaria di secondo grado è un battesimo per la vita futura che può avere conseguenze su un’intera esistenza. Un “incidente” di percorso, per esempio una bocciatura al primo anno di superiori, è un fallimento che non sempre un ragazzo riesce a superare. Crediamo in una scuola che ci dia la possibilità di prolungare le medie di altri due anni, in modo da decidere la secondaria a 15 anni, dopo un biennio in cui ci si è già indirizzati verso un approccio umanistico o scientifico.
3) Abolire i voti.
Sono passati quasi sessant’anni da Lettera a una professoressa. A dire che i voti non servono non è stato solo don Milani, ma anche Mario Lodi, Alberto Manzi (col suo timbro sulle pagelle “Fa quel che può, quel che non può non fa”), Gianni Rodari, Gian Franco Zavalloni, Maria Montessori e tante altre voci autorevoli della pedagogia del Novecento, oltre a quelle contemporanee. Crediamo in una scuola che possa finalmente accoglierci per quello che siamo, non pretendere ma attendere. Sogniamo una scuola che non ci valuta ma ci valorizza, che non ci giudica ma ci ama.
4) Fare ed essere la Scuola. Il prete maestro in Esperienze pastorali scriveva: “Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio ad averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola”. A voi, anche oggi, il compito di essere scuola, non di farla. Noi, ci siamo.