“Signor Conte, a noi pensionati hanno tolto 50 euro dalla pensione, cunnuiti”. Mentre Giuseppe Conte attraversa la folla che lo assale alla fine del comizio in Piazza Dante a Catania, un signore lo approccia per lamentare lo “scippo”, come lo definisce dopo, con l’ex presidente del consiglio del M5s. È un esterno notte pre elettorale che dà l’impronta delle prossime Comunali siciliane. La piazza catanese è imponente, grande. La facciata del monastero di San Nicolò Arena domina con splendore l’incontro di Conte con la sua gente. Lui nota l’imponenza del monumento, poi non arringa la folla ma gli tocca placarla. Quando un uomo insulta con un pesante epiteto la presidente del Consiglio, Conte lo ferma e sottolinea: “Noi non insultiamo”. Ma poi a fine comizio in tanti si avvicinano per lamentare il disagio, per gridarlo: Cunnuiti, ripete l’uomo tra la folla, mentre il presidente del M5s va via, lasciando una scia di persone dietro nella piazza catanese. Una piazza forse troppo grande per essere davvero considerata piena, di sicuro popolata per l’arrivo dell’ex presidente del consiglio. E di certo abitata da rabbia e malcontento. Un penultimo grande evento elettorale prima della gran chiusura di venerdì del centrodestra che in Piazza Università ha dispiegato tutte le sue forze, con la premier che, trasmessa in diretta su Rainews, ha parlato di lotta alla piccola evasione come “pizzo di Stato”. Spaccature, strani apparentamenti e la sfida di Giorgia Meloni su Catania definiscono queste comunali siciliane. Lunedì di sicuro, il peso dei partiti di governo potrebbe subire qualche scossa. Ma nel centrodestra straborda la sicurezza: “In realtà i partiti sono già tutti concentrati sulle prossime elezioni provinciali, si vota d’altronde tra 8 mesi”, confida un meloniano.

Catania, il campo principale
Tra le strade di Catania, in realtà, non si respira aria di elezioni: “Per forza, si pensi che il candidato di centrodestra, Enrico Trantino, non ha neanche più fatto incontri pubblici nelle ultime settimane”, suggerisce qualcuno nelle retrovie dell’opposizione catanese. Dove si discute sulle misure delle due piazze a confronto: “La loro è più piccola”. Fatto sta che venerdì Piazza Università, dove il centrodestra ha marchiato a fuoco l’elezione catanese era popolata dai vertici di governo in persona: la presidente del consiglio Giorgia Meloni e i due vice, Antonio Tajani e Matteo Salvini. La gran chiusura di una campagna elettorale su cui il centrodestra, con capofila Fratelli d’Italia, punta forte: si aspetta di fare il jackpot al primo turno. Con il 60 per cento, addirittura: questo è il calcolo di alcuni esperti tra le file governative. “Forse per questo l’atmosfera non è particolarmente vivace: si sa già tutto”, indica qualcuno. Ma nel centrosinistra non demordono: “La grande attesa di queste elezioni è su Catania, e anche quest’ultima giornata segna la differenza tra noi e loro: noi scegliamo una festa popolare con la gente comune. Oggi è Catania si può liberare da questa cappa oppressiva di mal governo e clientele. La gente è stanca e Maurizio Caserta è la migliore scelta per questo cambiamento”, dice Anthony Barbagallo, segretario regionale del Pd. E qualcuno tra le file dem è certo: “Ci sarà molto voto disgiunto a favore di Caserta”.

Eccoli i due principali candidati. Da un lato Caserta, il docente universitario che si era già candidato 10 anni fa, ha riunito le diverse anime del centrosinistra. Dall’altro Enrico Trantino, il figlio dell’avvocato di Marcello Dell’Utri, avvocato a sua volta, socio di studio e amico di Ruggero Razza, l’ex assessore regionale alla Salute, a processo per i dati covid falsati, colpito da una nuova accusa a suo carico nell’ultima indagine della procura etnea che ha colpito il settore sanità. Il grande amico di Razza, il meloniano Trantino, mette a tacere tutti i malumori nel centrodestra che aveva tardato a trovare unità sul nome da candidare. Ma non solo, all’ombra dell’Etna tutti sembrano sapere che per Giorgia Meloni l’elezione catanese è la più importante. “Qui ha messo tutti in riga e se non andrà come vuole lei, potrebbero esserci grandi scossoni”. Qui d’altronde c’era da mettere a tacere le spinte individualiste dei grandi ras del consenso: Luca Sammartino da un lato, che ha dovuto rinunciare alla candidatura della sua compagna, Valeria Sudano. Raffaele Lombardo dall’altro, riabilitato del tutto dopo la sentenza della cassazione che lo ha assolto dalle accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione elettorale. Un’assoluzione arrivata proprio agli albori di questa campagna elettorale, puntellata da sentenze e indagini.

Dopo quella di Lombardo, infatti, a segnare la corsa elettorale è stata la Corte dei Conti che ha interdetto Enzo Bianco dai pubblici uffici per dieci anni, azzoppando di fatto la corsa elettorale già pronta dell’ex sindaco. Anche il centrosinistra pareva infatti spaccato. In questa spaccatura si stava posizionando Giancarlo Cancelleri che limitato dalla regola del secondo mandato del M5s stava cercando una posizione all’interno dell’elezione catanese, poi sfumata anche grazie alla sentenza della Corte dei Conti, probabilmente determinante per il suo passaggio in Forza Italia: “Noi non siamo cambiati. È cambiato Cancelleri”, ha sottolineato Roberto Fico, sbarcato a Catania il giorno prima di Conte. Assoluzioni e condanne – ma anche nuovi arresti – hanno così bruciato i colpi di scena ad inizio campagna elettorale: “Adesso è calma piatta”, ripetono tra le file del centrodestra. Eppure la città etnea torna finalmente al voto dopo una sindacatura a singhiozzo che ha azzoppato di fatto l’amministrazione della città. L’ex sindaco Salvo Pogliese, senatore di Fdi, è stato sospeso una prima volta, poi reintegrato e sospeso una seconda volta per un’accusa di peculato nei processi sui rimborsi all’Assemblea regionale siciliana. L’ultima sospensione era arrivata a inizio del 2022, così da più di un anno Catania è senza guida.

Ma è proprio qui che Giorgia Meloni punta a inchiodare il suo consenso. È qui che certamente il centrodestra andrà alla conta: che percentuale otterrà Fdi rispetto alla Lega e cosa riuscirà ad ottenere Fi a guida Renato Schifani (e dopo il defenestramento di Gianfranco Micciché), questi sono i grandi quesiti dell’elezione catanese. Dove però si attende un buon risultato del M5s: “Abbiamo una lista solida, che oltre a contare sull’apporto dell’esperienza di consiglieri e deputati uscenti è una lista che ha aperto all’ingresso delle società civile”, spiega Nuccio Di Paola, coordinatore regionale del M5s. Nella lista catanese c’è per esempio, Gianina Ciancio, che arrivata al termine dei due mandati alla Regione, è ora candidata al consiglio comunale. “Ci sono molti esempi che confermano che non siamo cambiati”, sostiene Di Paola. Uno tra questi è Giorgio Pasqua, candidato sindaco a Priolo. Pasqua che dovrà vedersela con l’ex sindaco Pippo Gianni, ha rinunciato addirittura al secondo mandato all’Ars, dove era stato eletto nella scorsa legislatura, “perché i suoi gliel’hanno chiesto e lui si è messo a disposizione”, sottolinea ancora Di Paola.

Il caos Siracusa
La grande vetrina è Catania ma in Sicilia andranno al voto 128 Comuni. E tra questi non mancano le curiosità, né le spaccature. Se a Catania sembra prospettarsi un risultato scontato, non lo è affatto in quel di Siracusa, dove i candidati a sindaco sono 8 per un totale di 25 liste e 727 candidati al consiglio comunale (dove siederanno in 32). Il candidato designato dal centrodestra doveva andare a Forza Italia e così è stato. Ferdinando Messina è il candidato della coalizione, imposto dall’ex deputato regionale Pippo Gennuso, che da oggi è ai domiciliari perché deve scontare una condanna ad 8 mesi per traffico di influenze: è accusato di aver guidato, grazie a una tangente da 40mila euro, la scelta del Consiglio di giustizia amministrativa di Palermo che nel 2014 decise la ripetizione delle elezioni regionali in 9 sezioni tra Rosolini e Pachino, grazie a una tangente di 40mila euro. Alla fine di quel “replay” Gennuso fu rieletto all’Ars. Oggi torna ai domiciliari, a due giorni dalle elezioni. Pochi mesi fa il figlio Riccardo, ora deputato regionale, è stato nominato vicepresidente dell’Ars, carica dalla quale si è autosospeso dopo le polemiche sollevate dal fatto che è imputato in un processo per estorsione. All’imposizione dei Gennuso su Ferdinando Messina si è ribellato Edy Bandiera che ha consumato lo strappo dal partito berlusconiano correndo in solitaria.

A Siracusa corrono separatamente anche i candidati di Calenda e Renzi. Già prima che si consumasse lo scontro tra i due leader nazionali, Francesco Italia, sindaco uscente, esponente di Azione, aveva presentato la sua candidatura senza simboli di partito: lo sostiene tra le altre la lista Oltre, movimento per la rigenerazione che fa capo a Fabio Granata, storico esponente di destra ed ex collaboratore di Gianfranco Fini, e conta tra i candidati anche Fabio Camilli di Casapound. Nel popolato agone elettorale della città aretusea anche il renziano ex sindaco Giancarlo Garozzo. Anche qui, come a Catania, M5s, Pd e sinistre corrono a braccetto, schierando i simboli a sostegno di Renata Giunta.

La Lega con il Pd? Non solo Trapani
Il centrodestra è spaccato anche a Trapani. Maurizio Miceli, coordinatore provinciale di Fdi, guida la coalizione. Ma a sfilarsi è la Lega, per volere di Mimmo Turano, assessore della giunta regionale di Renato Schifani. A Turano fa capo una lista a sostegno del sindaco uscente Giacomo Tranchida, storico esponente del Pd che però non va compatto e non schiera neppure il simbolo. Una parte di Pd, M5s e Sud Chiama Nord di Cateno De Luca sfilano infatti a sostegno di Francesco Brillante, ex segretario cittadino democratico.

La scelta di Turano potrebbe avere effetti non da poco sul governo Schifani: in molti nel centrodestra, da mesi, chiedono la testa di Turano. Dalla Lega non ci stanno: “Ci sono tanti strappi in Sicilia nel centrodestra in questo momento: se conta quello di Turano, devono contare anche quelli di Cuffaro che va da solo in altre realtà e anche lui vanta due assessori”. A Ravanusa, in effetti, Totò Cuffaro ha pronunciato l’ormai celebre frase “I am a drink”. L’epic fail linguistico è stato pronunciato a margine di un incontro col candidato da lui sostenuto, Salvatore Pitrola, che trova l’appoggio anche di Pd e M5s.

Potere dei piccoli Comuni che vedono incesti politici anche ai piedi dell’Etna dove il Partito democratico corre con la Lega e Forza Italia a Belpasso, a sostegno di Salvo Licandri. Succede anche a Taormina, dove Cateno De Luca si gioca una partita delicata contro il sindaco uscente (e sindaco già due volte a Taormina negli anni Novanta), Mario Bolognari, storico esponente del Pd, sostenuto anche da tre candidati nella sua lista che militano nelle file di Lega e Fi. Un’alleanza impropria che mira a indebolire il consenso dell’istrionico ex sindaco di Messina che punta alla sua quarta sindacatura, dopo Fiumedinisi, Santa Teresa Riva (entrambi comuni vicini alla Perla dello Jonio) e Messina. Ma in molti dagli scranni dell’Ars, dove è approdato dopo aver rinunciato alla poltrona di sindaco a Messina, giurano che De Luca sia in calo: “In Ars media con la maggioranza – è il ragionamento – dimostrando di essere un vero democristiano, ma ha accumulato consenso presentandosi come un vero Masaniello e ora tutti si sono resi conto che non è così”.

Tutti divisi a Ragusa
Situazione incerta anche nel quarto capoluogo siciliano al voto: Ragusa. Qui le spaccature sono da un lato e dall’altro. Pd e M5s vanno su due candidati diversi. Il Pd a sostegno di Riccardo Schininà, giovane avvocato, formatosi politicamente nelle file dei giovani Ds. I 5 Stelle – che a Ragusa avevano vantato uno dei loro primi sindaci – puntano sul consigliere comunale uscente Sergio Firrincielli. Anche il centrodestra si sfalda. Qui il sindaco uscente, Peppe Cassì, che nel 2018 aveva vinto sostenuto da una coalizione di centrodestra, in questa tornata elettorale perde Fratelli d’Italia e Forza Italia che decidono di puntare su Giovanni Cultrera, ex presidente dell’Iacp, l’istituto per le case popolari. Al fianco del sindaco Cassì resta però la Nuova Dc di Cuffaro.

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