L’elezione di Chiara Colosimo alla presidenza della Commissione Antimafia? “Non è stata opportuna, ma ora prendiamone atto e cerchiamo di fare un controllo democratico su quello che avverrà”. Lo ha detto Pietro Grasso, ex procuratore nazionale Antimafia e presidente del Senato, ospite di Lucia Annunziata a Mezz’ora in più su Rai 3, commentando la scelta della deputata meloniana – su cui pesano i rapporti con il terrorista nero Luigi Ciavardini – per il vertice dell’organismo bicamerale. In una lettera inviata al Fatto, dieci familiari delle vittime delle stragi avevano denunciato il “conflitto d’interessi” di Colosimo nell’indagare sul presunto “coinvolgimento degli eversori neofascisti nella strategia stragista mafiosa degli anni ’92-’94″. E ora, riprendendo quei timori, Grasso invita a vigilare “non tanto su quello che farà la Commissione, ma su quello che non farà. E vedremo se le nostre perplessità saranno state condivisibili oppure no”.

L’ex senatore del Pd e di Liberi e uguali si dice anche “turbato” da ciò che è successo durante le commemorazioni della strage di Capaci a Palermo, quando le forze dell’ordine hanno fermato con i manganelli il corteoalternativo promosso da Cgil, associazioni antimafia e sigle studentesche: “A nessuno può essere impedito di arrivare sotto l’albero di Falcone. C’erano degli studenti che avevo incontrato il giorno prima all’Università, sono stati bloccati. Volevo far sentire loro tutta la mia solidarietà, perché Falcone non può dividere, deve unire. Davanti a quell’albero deve poter arrivare chiunque, non bisogna impedire la possibilità di manifestare il dissenso”, denuncia.

Parlando della strage di via dei Georgofili a Firenze, di cui si è celebrato il trentennale, l’ex magistrato ricorda come dalle indagini sia “venuta fuori una presenza estranea a Cosa nostra, un filo rosso che inizia dalla strage di Capaci – qualcuno lo fa iniziare addirittura dal fallito attentato all’Addaura – e prosegue con quella di via D’Amelio e con le cosiddette stragi nel continente, fino al fallito attentato all’Olimpico. Ci sono sempre indizi di una presenza esterna”. Su via D’Amelio, in particolare, “abbiamo una testimonianza ben precisa”, quella del pentito Gaspare Spatuzza, “che ho avuto il privilegio di ascoltare per primo e mi ha raccontato della presenza estranea di qualcuno che deve attivare l’esplosivo nella Fiat 500. Tra i rottami della strage poi si troverà un potenziometro di segnale, che è un indizio della presenza di un tecnico piuttosto esperto che ha aiutato Cosa nostra, forse proprio la persona estranea che ha visto Spatuzza”.

Dai collaboratori di giustizia, spiega Grasso, sappiamo che “dopo la cattura di Totò Riina, suo cognato Leoluca Bagarella, Matteo Messina Denaro e i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano cambiano la strategia e si concentrano sul patrimonio artistico dello Stato: fu una “strategia della tensione” del terrorismo mafioso portata avanti da Cosa nostra. Accanto alle azioni sicuramente riconducibili a Cosa nostra, però, ci sono una serie di altre azioni compiute da soggetti che non si è mai riusciti a identificare, che danno l’idea che qualcuno “accompagnasse” quella strategia, sollecitandola con dei finti attentati: c’erano bombe che non dovevano scoppiare, come quella lasciata in via dei Sabini, vicino a palazzo Chigi, il giorno della festa della Repubblica, che aveva il detonatore scarico. Oppure il black-out a palazzo Chigi dopo l’attentato in via Palestro, a Milano: era saltata una piastra, ma non si è mai capito chi l’avesse fatta saltare e perché“.

“La verità giudiziaria”, dice l’ex pm, “è arrivata fino a un certo punto, però nella Commissione Antimafia della scorsa legislatura mi sono dato da fare per approfondire quello che si poteva. Purtroppo la legislatura è finita anzitempo e non abbiamo potuto concludere l’indagine che insieme al collega Gianfranco Donadio (ex sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia e attuale procuratore di Lagonegro, ndr) abbiamo condotto su via dei Georgofili. Sono venuti fuori elementi che non possono essere prove, ma che sicuramente fanno pensare (qui l’approfondimento del fattoquotidiano.it)”. Cosa ha impedito che le indagini andassero a buon fine? “Noi abbiamo la parte di verità che ci hanno fornito i collaboratori di giustizia, ma non c’è nessun altro aiuto. Se c’è stata un’altra parte che ha collaborato agli attentati, non abbiamo avuto collaborazioni da parte di chi può conoscere qualcosa. Ma non ci possiamo fermare, perché abbiamo un dovere nei confronti delle vittime”, dice Grasso.

L’intervista tocca anche l’indagine di Firenze sui presunti mandanti occulti delle stragi, in cui sono indagati Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi, e il controverso attivismo mediatico di Salvatore Baiardo, ex favoreggiatore della latitanza dei Graviano, più volte ospite di Massimo Giletti a Non è l’Arena su La7. “C’è il rischio di esporsi a tentativi di depistaggio ulteriori?”, chiede il giornalista del Corriere della Sera Giovanni Bianconi. “Io dico che è sempre meglio di mettere una coperta su tutto e non parlarne più”, risponde Grasso. “Bisogna avere la capacità di non farsi strumentalizzare: ci sono giornalisti attrezzati che possono far capire come ci sono degli interessi ben precisi dietro alcune dichiarazioni”. E poi attacca direttamente Baiardo: “Non si possono avere tre versioni, una per la tv, una per la magistratura e una per TikTok. Non è possibile accettare tutto questo, bisogna indagare seriamente, come penso che stia facendo la Procura di Firenze”.

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Strage di via Georgofili, Pif alla commemorazione: “Bisogna sempre trovare nuovi modi per raccontare, anche la mafia”

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