“L’Associazione magistrati della Corte dei conti manifesta sconcerto e stupore in merito alle possibili e prossime iniziative del governo, riportate dagli organi di stampa, volte a ridurre gli ambiti di competenza della magistratura contabile sul fronte del controllo concomitante e a prorogare di nuovo e inopinatamente il cosiddetto “scudo erariale”, introdotto nel 2020, ormai in scadenza”. Dopo la riunione d’urgenza convocata sabato, il “sindacato” delle toghe contabili esce allo scoperto e contesta con una nota ufficiale gli emendamenti al decreto Pa che il governo si appresta a presentare per limitare i loro poteri di controllo sull’utilizzo dei fondi del Pnrr. “L’Associazione, in accordo con i vertici della Corte dei conti, ha sempre mostrato disponibilità al dialogo affinché potessero essere introdotte riforme meditate, frutto di una pacata riflessione, per adeguare le forme di controllo, anche giurisdizionale, alle sfide attuali e, allo stesso tempo, garantire che le risorse pubbliche, soprattutto se di provenienza comunitaria, siano ben spese, nell’interesse di tutti i cittadini”, premette il comunicato.
Giudici e pm contabili difendono innanzitutto il “controllo concomitante” della Corte dei conti, il meccanismo di dialogo tra la Corte e i soggetti attuatori del Piano, che il governo vorrebbe circoscrivere: questa forma di controllo, ricordano, è stata istituita dal decreto Semplificazioni del 2020 “con il chiaro intento di accelerare gli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale e non di esserne un freno“. Mentre lo scudo erariale introdotto con lo stesso decreto, che limita fino a giugno 2023 la responsabilità contabile di amministratori e dipendenti pubblici e che ora si vorrebbe prorogare, “ha aperto uno spatium di impunità che va a vantaggio del funzionario infedele e di chiunque sperperi le risorse pubbliche”, attacca la nota. Che conclude: “L’Associazione ribadisce sin d’ora con forza la preoccupazione per tali possibili iniziative estemporanee, gravemente lesive del principio di autonomia e indipendenza della magistratura, e ripropone l’invito al governo ad istituire un tavolo di confronto sulle riforme, ritenendo che lo sviluppo del Paese passi attraverso la costruzione di un percorso di legalità, nel quale ciascuno è chiamato a svolgere il proprio ruolo, nel rispetto delle reciproche attribuzioni”.
Sul controllo concomitante nelle scorse settimane si era aperto uno scontro istituzionale tra la Corte dei Conti e il ministro per il Pnrr, il meloniano Raffaele Fitto, dopo che i magistrati contabili avevano certificato il “ritardo ormai consolidato” nell’aggiudicazione dei lavori per la costruzione delle stazioni di rifornimento di idrogeno e delle colonnine di ricarica per veicoli elettrici. Un ritardo – scrivevano nelle delibere – che “mette in serio pericolo” il raggiungimento degli obiettivi fissati al 30 giugno. Fitto aveva risposto (indirettamente) con un lettera al Sole 24 Ore, in cui sosteneva tra le funzioni della Corte non ci fosse “l’accertamento del mancato conseguimento della milestone europea“, che “compete esclusivamente alla Commissione europea nell’interlocuzione con lo Stato membro”. Con un’infastidita chiosa in cui rimarcava che “il corretto rapporto tra le istituzioni rappresenta uno dei punti fondamentali per l’attuazione del Piano”. Giovedì scorso, però, la Corte ha reso noti altri numeri disastrosi per il governo: nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica si legge che nei primi quattro mesi dell’anno l’Italia è riuscita a spendere solo 1,15 miliardi di euro, lo 0,7% della percentuale di attuazione del Piano. Questa volta Fitto ha risposto con una nota in cui chiedeva un “approccio costruttivo” da parte delle toghe contabili, sostenendo che se la spesa risulta bloccate è solo perché “l’effettiva rendicontazione è subordinata all’avvio dei lavori dei circa 110 miliardi di opere pubbliche che, secondo i cronoprogrammi del Pnrr, inizierà nel corso del 2023”.