A poco più di tre mesi dalla chiusura indagini la procura di Brescia – che aveva ricevuto gli atti dai pm di Bergamo – ha chiesto al Tribunale dei Ministri di archiviare l’indagine nei confronti dell’ex premier Giuseppe Conte e dell’ex ministro della Sanità Roberto Speranza finiti indagati per la gestione della prima ondata di Covid nella bergamasca. Lo si apprende da fonti legali. La richiesta motivata della procura segue gli interrogatori dello scorso 10 maggio quando i due esponenti politici si erano difesi davanti al tribunale dei Ministri, giudici che ora hanno ancora qualche settimana di tempo (termine non perentorio) per decidere.

Durante il loro esame, hanno ricostruito, spiegato e chiarito i motivi delle loro decisioni per cui ora sono stati indagati, con altri 17 (tutti trasferiti per competenza funzionale al Tribunale dei Ministri), nell’inchiesta della Procura di Bergamo per la mancata istituzione di una zona rossa per isolare i comuni di Nembro e Alzano Lombardo e per la mancata applicazione del piano pandemico che, seppur datato 2006, per la magistratura poteva limitare i danni e salvare parecchie vite. Per loro le accuse sono epidemia colposa e omicidio colposo plurimo.
Conte e Speranza, tramite i loro legali, hanno anche depositato una memoria e Speranza in una sorta di dichiarazione spontanea, ha ribadito l’estraneità di ogni addebito, affermando di non aver applicato il piano pandemico del 2006 in quanto, tutta la comunità scientifica lo riteneva totalmente inefficace per combattere il coronavirus. Anche se, allora “furono presi tutti i provvedimenti a cominciare dal blocco dei voli dalla Cina – sono in sintesi le parole dell’ex ministro – e l’Italia fu la prima ad adottare misure insieme a Stati Uniti e Israele, subito dopo l’emergenza sanitaria”.

Nel registro degli indagati della procura di Bergamo erano finiti anche il presidente della Lombardia Attilio Fontana e il suo ex assessore al Welfare, Giulio Gallera, rimasto fuori dal Consiglio regionale nell’ultima tornata elettorale. E ancora il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro; il coordinatore del primo Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo; l’allora capo della Protezione Civile Angelo Borrelli e il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli. In totale 19 persone tra cui anche dirigenti sanitari e funzionari regionali. Tra le contestazioni, a vario titolo, c’erano le tardive richieste di mascherine e guanti, la zona rossa non istituita in Val Seriana e “lo scenario più catastrofico” non considerato. Oltre all’epidemia colposa contestato anche l’omicidio colposo e il contagio dei sanitari, le bugie sulla sanificazione del pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo.

I parenti delle vittime –Questa non è giustizia, con questa richiesta è stata tradita per l’ennesima volta la memoria dei nostri cari e il loro sacrificio – dicono i parenti delle vittime del Covid19 dell’Associazione #Sereniesempreuniti – Ricordiamo che la Procura di Bergamo, partendo anche dai nostri esposti, ha lavorato 3 anni a questa maxi indagine che coinvolge politici e funzionari a tutti i livelli. Le responsabilità accertate che hanno causato le morti dei nostri cari sono inconfutabili. Anche noi, con i nostri legali, da 3 anni ci battiamo per fare memoria e per ottenere la verità. Ora toccherà al Tribunale dei Ministri esprimersi: la questione non è chiusa, confidiamo nella presa di coscienza di quanto accaduto, perché il Covid19 non è stato uno tsunami come ci vogliono far credere: molte morti si sarebbero dovute evitare e qualcuno è responsabile di ciò”. Aggiungono dal team dei legali (avvocati Consuelo Locati, Giovanni Benedetto, Luca Berni, Piero Pasini, Alessandro Pedone): “Attendiamo la decisione del Tribunale dei Ministri e di capire le motivazioni della richiesta avanzata dalla Procura di Brescia soprattutto a fronte delle evidenze documentali contestualizzate in un’indagine di tre anni espletata in modo approfondito e coraggioso dalla Procura di Bergamo”. “Come figlia di una vittima – conclude l’avvocata Locati – personalmente sento questa richiesta poco rispettosa, sotto il profilo squisitamente umano, della memoria delle vittime e dei familiari sopravvissuti che chiedono che la verità emerga all’esito di un procedimento in contraddittorio, come prevede peraltro un ordinamento democratico”.

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