Un pacco di banconote che Recep Tayyip Erdogan ha tirato fuori dalla tasca e ha distribuito agli elettori appostati, in famelica attesa, fuori da un seggio. Non ricordo un’icona simile in un altro paese occidentale in occasione di una scadenza elettorale.

Si tratta di un’istantanea che ha fatto il giro del mondo su tutti gli schermi televisivi, ma che evidentemente non ha prodotto sufficiente indignazione in media, governi e cittadini. In chi invece osserva la politica e la proietta sul rispetto di leggi e trattati internazionali, quella scena dovrebbe provocare fastidio, pur nella consapevolezza che a quelle latitudini è un drammatico déjà vu.

Il protagonista di quel gesto chiaramente illegale (a proposito, dov’erano gli occhi attenti dell’Osce?) non ha fatto altro che confermare un atteggiamento che, particolarmente nell’ultimo decennio, si è aggravato esponenzialmente. Arresti, prevaricazioni, eliminazione di diritti ed elementari libertà, minacce contro i vicini, antisemitismo galoppante sono diventate sul Bosforo regole e non eccezioni, sin dalla cruenta repressione delle manifestazioni di Gezi Park, che il fato ha voluto fossero accadute esattamente dieci anni prima del ballottaggio di domenica scorsa che ha visto la vittoria del presidente uscente.

Nel mezzo, il golpe farlocco del 2016, altra straordinaria occasione per il Sultano di zittire oppositori politici, giornalisti non allineati, giudici troppo zelanti, con il parallelo immobilismo dell’Ue che non ha recitato alcuna parte. Se non quella di comprare con 5 miliardi di euro la permanenza dei profughi siriani su suolo turco.

Questo il quadro d’insieme in cui, oggi, ci si interroga analiticamente sulle prossime mosse di Ankara, sul peso specifico delle sue decisioni più urgenti, sul modus con cui continuerà a tessere relazioni con i paesi del Golfo, con la Cina, con la Russia, con l’Ue e con gli Usa, su come deciderà di proseguire nella sua crociata contro i social network, le minoranze o i curdi, favorendo invece altri gruppi come la Fratellanza Musulmana.

Spicca, inoltre, la tranquillità con cui quelle banconote sono state regalate: come se al leader non importasse poi molto di essere immortalato in quel gesto così particolare. Non se ne è vergognato, non ha mostrato reticenza per la presenza delle telecamere. Non ha fatto finta di nulla. Bensì ha tirato dritto per la sua strada con tracotanza impassibile, ben consapevole che nessun cronista lo avrebbe colto in flagranza, che nessun magistrato lo avrebbe incriminato, che nessun blogger lo avrebbe fermato.

Proprio in continuità con l’assunto di Ataturk: “Noi riconosciamo le rivendicazioni di tutte le nazioni. Il nostro nazionalismo non è in nessun modo egoista e supponente”.

@FDepalo

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