Lo strafalcione è da matita blu e pure piuttosto comico. Ma stavolta l’autore non è – come accade spesso – uno delle migliaia di aspiranti giudici e pubblici ministeri che provano il concorso in magistratura, bensì la commissione che dovrebbe selezionarli. Fa discutere (nell’ambiente e non solo) l’erroraccio contenuto in una delle tracce di diritto penale non estratte all’ultima selezione per quattrocento posti da magistrato ordinario, tenuta alla Fiera di Roma dal 17 al 19 maggio: ai candidati si chiedeva di discettare, tra le altre cose, dell’abolitio sine abrogazione. E già salta all’occhio l’ortografia: trattandosi di latino, si dovrebbe scrivere abrogatione. Ma soprattutto, l’abolitio sine abrogatione non esiste: esiste il suo contrario, l’abrogatio sine abolitione, che si verifica quando una norma che punisce un reato viene cancellata, ma quel reato continua a essere punito da una norma diversa. Insomma, si chiedeva di analizzare una situazione impossibile. E nessuno, tra i 29 titolatissimi commissari (senza contare i 45 segretari di Commissione), se n’è accorto. “Il fatto che per puro caso la traccia non sia stata sorteggiata non riduce il pericolo che si è corso. Se un candidato ben preparato si fosse trovato davanti a quella domanda avrebbe pensato che si trattasse di un trabocchetto”, ha detto al Giornale il professor Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale alla Statale di Milano e già consigliere giuridico dell’ex ministra Marta Cartabia. “Il problema”, spiega, “è che il Csm i membri della commissione di esame li sorteggia tra tutti gli aspiranti. Ci sono regole che garantiscono la parità di genere e di provenienza geografica, nient’altro”.
In realtà il decreto legislativo 160/2006, che disciplina l’accesso in magistratura, dice soltanto che la commissione è presieduta da un magistrato che abbia conseguito la sesta valutazione di professionalità (le valutazioni arrivano, in teoria, ogni quattro anni) e composta da venti magistrati che abbiano conseguito la terza valutazione, da cinque professori universitari di ruolo e da tre avvocati cassazionisti. Ma negli ultimi tre concorsi – quelli banditi nel 2019, nel 2021 e nel 2022 – il Consiglio superiore della magistratura ha scelto di affidare la formazione delle commissioni al puro caso, estraendo a sorte i componenti tra chi presentava domanda. Una prassi contro cui ora si scaglia Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe: “È tempo che il Csm prenda atto del fallimento del sorteggio quale metodo di selezione dei commissari e torni ad assumersi, in questa materia, la responsabilità di scelte discrezionali, trasparenti e rendicontabili”, si legge in un comunicato dell’esecutivo nazionale del gruppo. “L’avere affidato a un “tiro di dadi” la selezione dei commissari di concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria non sembra avere portato alcun miglioramento, in termini di qualità ed efficienza, alla complessiva azione amministrativa”, aggiunge la nota. “Consegnare alla sorte l’individuazione dei componenti delle commissioni esaminatrici non ci sembra la strada migliore per assicurare a queste ultime quella composizione autorevole e di alto profilo, indispensabile per garantire un accesso parimenti autorevole alle funzioni giurisdizionali e in grado di rafforzare, per tale via, l’indipendenza stessa dell’istituzione giudiziaria e la sua complessiva credibilità di fronte alla cittadinanza”, conclude.