Siamo un popolo dalla memoria corta e per fortuna ci sono le parole di Mattarella: “Mai mettere a tacere qualcuno”. E quindi a nessuno dovrebbe essere impedito di manifestare il proprio amore verso coloro che offrirono la loro vita per regalarci un Paese senza mafie.
Com’è potuto accadere lo scontro tra polizia e coloro che avrebbero voluto partecipare alla commemorazione del 23 maggio? Erano giovani studenti, esponenti della Cgil e delle associazioni antimafia, mica erano black bloc o facinorosi. Lo scorso 23 maggio, ovvero nel 31esimo anniversario della strage di Capaci, doveva essere un momento di riflessione per ricordare il sacrificio dei martiri; ho visto, invero, scene che mai avrei voluto vedere. A nessuno dovrebbe essere consentito di stabilire chi, dove e come deve manifestare il proprio diritto di ricordare le vittime di mafia. Il dottor Giovanni Falcone, come sua moglie Francesca Morvillo e i miei colleghi Montinaro, Schifani e Dicillo appartengono ai familiari, ma anche all’intero Popolo italiano. Ed è giusto che tutti gli italiani li ricordino nei luoghi che rappresentaino il loro sacrificio. I pensieri di Falcone e Borsellino, la tenacia con cui han lottato per aver una Sicilia senza condizionamenti mafiosi, era e dovrebbe essere la pietra miliare del libero svolgimento di ogni anniversario. Registro che l’aver impedito al corteo di raggiungere l’albero di Falcone ha creato un pericoloso precedente.
Noi tutti, all’unisono, non dobbiamo mostrare crepe nella lotta alle mafie, altrimenti daremmo alla mafia la sensazione di debolezza. Vorrei dire alla professoressa Maria Falcone che “L’albero di Falcone” non appartiene né a lei né al sindaco, né al ministro di turno, ma a tutti gli italiani onesti. A pochi metri dall’albero, il 14 novembre del 1982, fu trucidato Lillo Zucchetto, bravissimo agente della Squadra mobile di Palermo di 27 anni; ero il suo capo pattuglia. E vedere i tafferugli proprio nei pressi del luogo dove affiora il mio dolore mi ha turbato.
Mi spiace constatare che il 23 maggio 2023 sia stata una giornata divisiva. La mia città di Palermo, violentata e stuprata dalla violenza mafiosa, ha visto cadere i suoi figli migliori. Eppure, lo scorso 23 maggio, siamo stati capaci di turbare l’eterno riposo dei nostri martiri; tutto perché nella mente di taluni alberga la pretesa d’essere i soli titolati a “ricordare e commemorare”. Sono d’accordo con la prof.ssa Maria Falcone quando afferma che con le istituzioni bisogna dialogare, ma non sempre però è possibile farlo. Sono altresì d’accordo con quanto affermato l’altro giorno dal fratello della dottoressa Francesca Morvillo, anche lui ex magistrato; condivido anche le virgole. Alcuni anni fa, quando veleggiava la Nave della legalità, un carissimo amico giornalista – cronista esperto di Cosa nostra – mi chiese se ero disposto a salire a bordo della nave per Palermo. L’intento era intrattenere gli studenti (non solo durante il viaggio) per raccontare loro mia esperienza di vita e di lotta a Cosa nostra.
Ovviamente risposi che avrei accettato volentieri. Qualche giorno dopo, il mio amico rammaricatosi, mi disse che in luogo della mia persona avevano scelto un personaggio importante, invece che un semplice ispettore di polizia com’ero io. “Sai un ispettore….!” Per me quel giorno non cambiò assolutamente nulla, incontrai in una scuola gli studenti di terza media. Sottolineo che a Palermo ci sono personaggi condannati per concorso esterno alla mafia che continuano legittimamente a far politica e questo crea comprensibile malcontento.
Vorrei qui ricordare un pensiero di Paolo Borsellino, leggete attentamente: “ quel politico era vicino al mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con l’organizzazione mafiosa, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. Eh no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale”. Cavolo, si parla di soggetti che non hanno riportato condanne e quindi cosa avrebbe detto Borsellino nel vedere che condannati per mafia regolano la politica siciliana?
Una volta il Governo Italiano nominò un parlamentare in odore di mafia a rappresentare l’Italia in Europa e io, contrariato, scrissi al presidente del Parlamento europeo: quel parlamentare è stato condannato per concorso esterno alla mafia, con sentenza passata in giudicato. Tra un po’ ci sarà l’anniversario della strage di via D’Amelio – 19 luglio – e vorrei citare il pensiero di Paolo Borsellino: “La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. Ma in tanti dimenticano i pensieri di Borsellino e Falcone. Il che fa comodo per indicibili accordi politici e affaristici.