Biologo naturalista, autore bestseller, docente e riferimento internazionale nelle scienze del benessere e nella meditazione: il suo ultimo libro (Mondadori) è un incontro tra neuroscienze e antiche tradizioni millenarie
Il titolo non ci deve fuorviare. Perché credere di “cambiare vita respirando 28 volte” rimanda a quei tipici manuali americani che promettono di trasformarti l’esistenza col minimo sforzo. Daniel Lumera, biologo naturalista, autore bestseller, docente e riferimento internazionale nelle scienze del benessere e nella meditazione, al contrario, ci invita a pensare che la “pillola della felicità” non è solo una chimera ma proprio una delle credenze del nostro tempo nemica del benessere globale della persona. E allora partiamo proprio dal titolo di questo suo ultimo libro che è un incontro tra neuroscienze e antiche tradizioni millenarie: 28 respiri per cambiare vita. Come raggiungere una mente illuminata (Mondadori, pp. 406, € 21,00). “Il titolo si ispira a un interessante esperimento condotto da Andrew D. Huberman, neuroscienziato americano e docente di neurobiologia presso la Stanford University School”, spiega Lumera, “che, nel suo laboratorio, ha testato il modo più efficace per stimolare e liberare energia, motivazione, vitalità e una profonda rigenerazione del cervello che ne favorisce la neuroplasticità, ovvero la sua capacità di modificare la propria struttura e apprendere nuove cose, a prescindere dall’età. Il segreto sembra risiedere in un particolare ciclo di respirazioni consapevoli: una sequenza semplicissima di 28 respiri per rigenerare mente e corpo, e regolare la chimica del nostro cervello bilanciando i neurotrasmettitori responsabili del nostro equilibrio e del benessere psico-emotivo, della motivazione e del focus: epinefrina, dopamina, serotonina e ossitocina”.
Siamo di fatto una società dopaminergica. Tendiamo cioè a sbilanciare le nostre esperienze sulla ricerca continua di un piacere rapido, fuggendo il dolore. Tutto questo che cosa provoca in noi?
Altro elemento chiave è il concetto di “mente errante”: lei afferma che la maggior parte delle persone impiega il 47% delle ore di veglia a pensare a ciò che non sta accadendo e questo genera profonda infelicità. Come uscirne?
“Dobbiamo allenare la nostra mente a vivere in uno stato di presenza. La maggior parte delle persone si perde nei processi immaginativi del cervello, sprecando un’enorme quantità di energia vitale e vivendo un’esistenza infelice, come dimostrano le ricerche scientifiche sulla wandering mind, la mente vagabonda. Possiamo iniziare con semplici esercizi per allenare la presenza mentale. Per esempio, mettere cinque sveglie durante il giorno e, ogni volta che sentiamo il timer suonare, fermarci e riportarci in uno stato di consapevole presenza mentale, uno spazio nel ‘qui e ora’ dove esserci veramente”.
Lei invita anche a sviluppare una nuova dimensione dell’intelligenza, quella spirituale. Di che si tratta?
“L’intelligenza esistenziale, o spirituale, è l’elemento che contraddistingue l’essere umano dalle potenzialità dell’intelligenza artificiale. È definita come ‘la capacità o l’abilità di un individuo di comprendere e contemplare i grandi temi relativi all’esistenza dell’uomo’. E ha tre caratteristiche: ragiona secondo una mentalità esponenziale (la mentalità incrementale è orientata al ‘fare qualcosa di meglio’ ed è soddisfatta quando ottiene il 5% in più; la mentalità esponenziale è orientata a fare ‘qualcosa di diverso’ e pensa a ottenere un valore moltiplicato per 10 volte), ha la capacità di avere una visione d’insieme e impersonale, e infine nutre ed è coerente con valori elevati”.
Che cos’è una mente illuminata?
“È una mente che presenta tre caratteristiche: l’assenza di ego, la piena consapevolezza che ciò che chiamiamo realtà è solo un processo immaginativo del cervello e lo sviluppo maturo dell’intelligenza spirituale. È una mente ispirata, creativa, lucida e profondamente consapevole”.
Le neuroscienze e la psicologia occidentale non sono ancora riuscite a capire tutte le potenzialità e le trappole della mente. In che modo le pratiche tradizionali di meditazione ci offrono invece nuove conoscenze sul funzionamento del nostro cervello e, soprattutto, benefici?
“Le tradizioni sapienziali antiche hanno maturato una straordinaria conoscenza dei processi mentali e della natura della mente millenni fa. Un grado di consapevolezza molto elevato che, dal mio punto di vista, supera di gran lunga qualsiasi approccio finora raggiunto dalla psicologia occidentale. I processi contemplativi degli stati meditativi regolano i meccanismi di attenzione e concentrazione, e hanno un impatto profondissimo sui processi di disinfiammazione, di invecchiamento, sull’umore, sugli stati di ansia e depressione, sulla regolazione del dolore e anche su molte abilità cognitive, tra cui la memoria”.