Una comunità energetica consiste in un’associazione tra cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni locali e piccole/medie imprese che decidono di condividere tra di loro l’energia prodotta e immessa in rete in una determinata località. La condivisione avviene tramite la rete di distribuzione pubblica a fronte del pagamento del servizio, e contribuisce alla riduzione della quantità di energia proveniente, sempre tramite la rete pubblica, da impianti remoti di terzi, gestita da operatori commerciali.
Ne abbiamo parlato anche in questo blog come di una soluzione virtuosa, che contribuisce a ridurre i gas climalteranti promuovendo un’economia solidale e la proprietà diffusa dell’energia. Tutti dicono di volerle ma… il tempo passa, mancano i provvedimenti attuativi e le norme esistenti sono un ginepraio che pare ideato ad arte per scoraggiarne la nascita. Per segnalare le criticità, Italia Nostra pubblica qui di seguito un intervento scritto dal Prof. Angelo Tartaglia del Politecnico di Torino.
Il primo stimolo a costituire delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) viene da alcune direttive europee, in particolare la cosiddetta RED II, pubblicata l’11 dicembre 2018. Gli stati membri dovevano recepire i contenuti della direttiva nei loro ordinamenti entro il 30 giugno 2021. L’Italia si muove lentamente sicché, per iniziativa parlamentare, il cosiddetto “milleproroghe” del 2019 recepisce un emendamento che diviene l’art. 42bis della legge 8/2020, entrata formalmente in vigore il 1 marzo 2020. Tale articolo si presenta come una norma ponte in attesa del pieno recepimento della RED II e consente la realizzazione delle CER sia pure in un assetto transitorio.
I vincoli e le connotazioni di queste CER permettono, soprattutto fuori dalle grandi aggregazioni urbane, la formazione di comunità molto piccole in cui, per forza di cose, i flussi di scambio sono molto modesti. In concreto il numero di queste comunità effettivamente costituite è estremamente ridotto. Uno dei vincoli comunque prevede che gli impianti a disposizione della comunità per lo scambio di energia al suo interno possano essere solo quelli allacciati alla rete dopo il 1 marzo 2020.
Comunque sia, lo schema di comunità previsto non ricalca la comunità suggerita dal buon senso, in quanto si preoccupa innanzitutto di salvaguardare il tradizionale regime di mercato in cui il singolo consumatore o anche produttore/consumatore si affaccia. Semplicemente, a questo regime dato viene sovrapposto un regime di incentivi proporzionale al flusso di energia virtualmente scambiato all’interno della comunità entro ogni intervallo orario, così come rilevato dalla lettura dei contatori. In pratica ciascuno continua a pagare o incassare come se la comunità non ci fosse, ma quest’ultima si vede assegnare una tariffa incentivante proporzionale a quanto formalmente scambiato. Tariffa incentivante che è a carico di tutti gli utenti italiani dell’energia, che la pagano attraverso gli oneri di sistema presenti in bolletta. Insomma, anche i kWh che i contatori indicano come scambiati (quindi provenienti dagli impianti della comunità) vengono pagati ad un soggetto commerciale esterno, salvo però a servire come base per il calcolo di un incentivo.
La norma ponte doveva essere superata al momento del pieno recepimento della direttiva europea, che effettivamente avviene col decreto legislativo 199/2021 che entra formalmente in vigore il 15 dicembre 2021, quasi sei mesi dopo il termine previsto dalla direttiva. Come avviene però sovente, il D.Lgs. 199 è sì in vigore, ma ahimè non è operativo, perché per esserlo richiede alcuni ulteriori provvedimenti attuativi; in particolare due, in capo rispettivamente all’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA) e al ministro competente (il ministero corrispondeva dapprima all’acronimo MITE e oggi all’acronimo MASE). Il provvedimento di ARERA, in base al decreto 199, era dovuto entro 90 giorni (dal 15 dicembre 2021), quello del ministro entro 180 giorni.
ARERA ha pubblicato la sua delibera (727/2022/R/EEL) il 27 dicembre 2022 (413 giorni dopo l’entrata in vigore del decreto 199); del provvedimento del ministro si sono perse le tracce. Il guaio è che anche la delibera ARERA, come sta scritto nel testo della medesima, si applica solo a partire dalla data del provvedimento ministeriale, per cui oggi ci si trova ancora nel regime transitorio dell’art. 42bis. Comunque, dopo di allora, sull’atto ministeriale è calato il silenzio.
Il mitico D.Lgs. 199 (la legge), all’art 32, comma 3, punto c) specifica che i clienti domestici (soci di comunità dell’energia) possono optare per lo scorporo in bolletta dell’energia che condividono all’interno della CER e dà ad ARERA il compito (entro i famosi 90 giorni) di stabilire come tali soggetti debbano agire per comunicare la loro scelta. Si tratta insomma dell’applicazione del buon senso: se condividiamo energia prodotta dai nostri impianti, perché dovremmo pagarla a soggetti esterni che non la producono?
Ebbene l’Autorità, nella sua delibera del 27 dicembre u.s. (quella stessa che per diventare operativa aspetta il provvedimento ministeriale di cui si sono perse le tracce), afferma che lo scorporo sarebbe complicatissimo (non spiega perché) e che pertanto non può essere attuato subito. C’è di più; sempre ARERA nella sua delibera prescrive che, quando si attuerà lo scorporo, la quota parte di tariffa incentivante che corrisponde a colui o colei che ha scelto lo scorporo non venga attribuita alla CER (come dice la legge), bensì al venditore (di energia) del socio. Che bisogno c’è di parlamenti, governi e così via? Al bene del paese provvedono le “autorità”!
Tra l’altro, l’applicazione dello scorporo (l’autorità lo chiama scomputo) esteso a tutti i legittimi soci di una comunità (non solo a quelli domestici), oltre ad essere un’applicazione del buon senso, permetterebbe di fare a meno di erogare una tariffa incentivante a carico di tutte le utenze nazionali, in quanto l’energia scambiata va oggettivamente in detrazione a quella che il gruppo deve acquistare all’esterno a prezzi di mercato, permettendo quindi un risparmio diretto, facilmente comprensibile e consistente sulle bollette di tutti i soci, fermo restando che si continuerebbe a pagare il costo del trasporto attraverso la rete pubblica (solo a bassa tensione, però).
Tanto per non farci mancare niente, a tutte queste questioni giuridico-burocratico-amministrative possiamo aggiungere anche qualcosa di concreto e materiale. La rete pubblica non è al momento adatta a recepire rilevanti volumi di energia immessa in modo diffuso a bassa tensione: occorre provvedere, con adeguati investimenti, ad una ristrutturazione generale. Qualcosa sta avvenendo, ma senza troppa fretta, anche se al momento ci sono porzioni del territorio nazionale in cui la rete risulta letteralmente satura riguardo all’allaccio di piccoli impianti da rinnovabili. Se ci diamo da fare con grande entusiasmo per attivare nuovi impianti al servizio di comunità dell’energia possiamo poi trovarci di fronte al fatto che l’allacciamento alla rete può tardare, rispetto al momento in cui lo chiediamo, di parecchi mesi, se non peggio. O anche, per impianti recenti già allacciati, scoprire che essi vengono per certi periodi disconnessi d’ufficio per evitare appunto scompensi sulla rete inadeguata.
In conclusione, riguardo alle comunità dell’energia (e alla transizione energetica), siccome tutto quello che avviene non pare essere casuale si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad una titanica presa in giro.