Nello scontro con la magistratura contabile il governo tira dritto e presenta alla Camera l’annunciato emendamento al decreto Pa che esautora la Corte dei conti dalla vigilanza sul Pnrr. Il testo abolisce il “controllo concomitante” dei giudici contabili sull’utilizzo dei fondi del Piano, cioè il meccanismo di monitoraggio “in itinere” da parte della Corte sui “ritardi” e sulle “irregolarità gestionali” nell’attuazione del Piano, introdotto dal decreto Semplificazioni del 2020 e attivabile su richiesta delle commissioni parlamentari. Inoltre viene prorogto di un altro anno, da giugno 2023 a giugno 2024, lo “scudo erariale” che limita la responsabilità contabile di amministratori e dipendenti pubblici ai casi di dolo e colpa grave. Una misura che secondo l’associazione di giudici e pm contabili “ha aperto uno spazio di impunità che va a vantaggio del funzionario infedele e di chiunque sperperi le risorse pubbliche”. L’offensiva segue un periodo di tensioni tra la Corte e il ministro della Pubblica amministrazione (con delega al Pnrr) Raffaele Fitto, scoppiate all’inizio di maggio, quando la sezione di controllo concomitante aveva certificato il “ritardo ormai consolidato” nell’aggiudicazione di alcuni appalti, che – scriveva – mette “in serio pericolo il raggiungimento” di uno degli obiettivi in programma il 30 giugno. Fitto aveva risposto (indirettamente) con una lettera al Sole 24 Ore, in cui sottolineava tra le funzioni della Corte non ci fosse “l’accertamento del mancato conseguimento della milestone europea“, che “compete esclusivamente alla Commissione”.
Fitto: “Il governo chiede rispetto” – L’accelerazione del governo, peraltro, è arrivata subito dopo che il ministro e le toghe avevano deciso di sedersi a un tavolo: giovedì a palazzo Chigi è infatti in programma un incontro tra Fitto, i sottosegretari alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari e i vertici della Corte dei conti: il presidente Guido Carlino, il presidente aggiunto Tommaso Miele, il procuratore generale Angelo Canale e il segretario generale Franco Massi. “Lo scontro si fa in due. Non c’è nessuno scontro con la Corte dei Conti. Abbiamo massimo rispetto nella Corte dei Conti, ma anche il governo chiede un analogo rispetto“, ha detto il ministro di FdI in conferenza stampa. “Domani noi ci confronteremo nel merito, ma ripeto che noi seguiamo le leggi. Nelle 47 delibere del collegio di controllo concomitante 44 riguardano il Pnrr, ma non si tiene conto del decreto 77 che prevede un’interazione tra la Corte dei Conti italiana e la Corte dei Conti europea. Allora questa è un’aggressione del governo? Ho sentito dichiarazioni sopra le righe e affermazioni forti in questi giorni, ma mai da parte del governo”, rivendica. E sullo scudo erariale si difende: “Noi stiamo prorogando una norma decisa dal governo Conte e prorogata dal governo Draghi, mi sembra piuttosto curioso e singolare che ci si attacchi”.
Le proteste in Commissione – Il ddl di conversione del decreto è atteso in Aula a Montecitorio il 5 giugno. All’apertura della seduta congiunta con la Commissione Affari costituzionali, il presidente della Commissione Lavoro Walter Rizzetto (FdI) ha annunciato la presentazione dell’emendamento da parte del governo. Rizzetto ha motivato la sua decisione di ammetterlo sostenendo che la Corte dei conti sia “un organo della pubblica amministrazione” come quelli di cui tratta il decreto: protestano però le opposizioni, con Alfonso Colucci (M5s) che ricorda come in realtà sia un organo giusdizionale indipendente. Sull’ammissibilità tutti i gruppi di opposizione hanno presentato ricorsi al presidente della Camera Lorenzo Fontana. L’altra contestazione riguarda il merito dell’emendamento, che, sottolinea il dem Federico Fornaro, “vale da solo un decreto” e che non può essere discusso in pochi minuti.
Le reazioni – “È un’inaccettabile forzatura. Cambia in corso d’opera delicati equilibri istituzionali e depotenzia le prerogative di verifica del Parlamento. Va ritirato”, twitta il responsabile Economia del Pd Antonio Misiani. L’emendamento è “vergognoso e inaccettabile” anche per il capogruppo dem al Senato Francesco Boccia: “Vergognoso perché intende sottrarre alla Corte il controllo e la verifica sull’utilizzo delle risorse del Pnrr. Inaccettabile perché toglie a Camera e Senato, cioè al Parlamento, la possibilità di chiedere alla Corte la verifica, tramite una relazione, dell’iter dei progetti. Siamo di fronte ad alterazione dell’equilibrio dei poteri e ad una riduzione delle prerogative parlamentari che non è sopportabile”, attacca. Su Facebook il leader M5s Giuseppe Conte ricorda poi che “qualche giorno fa la Corte dei Conti ha osato rilevare che nei primi quattro mesi del 2023 sono stati spesi solo 1,1 miliardi degli oltre 32 previsti dal Pnrr per tutto l’anno. Gravissimo: delitto di lesa maestà del governo! Anziché mettersi al lavoro per rimediare, il governo ha pensato bene di presentare un emendamento per far saltare questo “controllo concomitante” della Corte dei Conti su come vengono spesi i soldi del Pnrr”.
La nota di lunedì – L’iniziativa del governo era slittata di qualche giorno dopo la reazione dell’Associazione dei magistrati contabili, che in una nota diffusa lunedì esprimeva “sconcerto“, “stupore” e “preoccupazione” per iniziative “volte a ridurre gli ambiti di competenza“ della Corte dei Conti, definite “gravemente lesive del principio di autonomia e indipendenza della magistratura”. Il comunicato chiedeva all’esecutivo di “istituire un tavolo di confronto sulle riforme, ritenendo che lo sviluppo del Paese passi attraverso la costruzione di un percorso di legalità, nel quale ciascuno è chiamato a svolgere il proprio ruolo, nel rispetto delle reciproche attribuzioni“. Ricordando che il controllo concomitante era stato introdotto “con il chiaro intento di accelerare gli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale e non di esserne un freno“. Martedì sera era stata sconvocata la seduta congiunta delle Commissioni in cui era previsto il deposito. Il giorno successivo, giovedì, la seduta in programma alle 14 è ulteriormente slittata di due ore, mentre l’emendamento era rimasto fermo a palazzo Chigi.