Le memorie di esperti e docenti pubblicate dalla commissione Finanze dopo la presentazione degli emendamenti
A emendamenti già presentati, la commissione Finanze della Camera ha pubblicato le memorie di esperti e docenti chiamati a dare un parere sulla delega fiscale del governo Meloni. Viste le bocciature arrivate da Bankitalia e Ufficio parlamentare di bilancio non è una sorpresa che i giudizi siano nettamente critici su flat tax e tassa piatta incrementale, assenza di interventi sul catasto, riforma del trattamento dei redditi finanziari e concordato preventivo biennale. Passare in rassegna i loro rilievi dà la misura di quanto i contenuti del ddl siano problematici agli occhi degli addetti ai lavori.
“Sorprendente l’allargamento della cedolare secca” – Particolarmente rilevante, visto l’incarico dell’autore, è la memoria di Alessandro Santoro, docente di Scienza delle finanze alla Bicocca e dal 2021 presidente della Commissione che scrive la relazione sull’economia sommersa e l’evasione fiscale e contributiva. Riguardo alla flat tax Santoro passa in rassegna gli studi empirici che mostrano come, nei Paesi che l’hanno adottata, non abbia stimolato la compliance e dunque l’emersione di redditi prima non dichiarati. Il ddl dice di voler arrivare all’aliquota unica per tutti mantenendo la progressività attraverso il riordino di deduzioni e detrazioni, ma poi raccomanda di preservare tutte le maggiori spese fiscali (da quelle per i figli a quelle per la casa). Inoltre “non prefigura alcun significativo riassorbimento dei regimi agevolativi oggi esistenti, che sono la vera causa della mancanza di equità orizzontale e verticale del prelievo”. Al contrario, prevede ulteriori forme di tassazione semplificata dei redditi agrari e l’estensione della cedolare secca alla locazione di immobili non abitativi, scelta “particolarmente sorprendente alla luce di quanto evidenziato nella Relazione evasione 2022 in esito ad una specifica analisi” che mostrava come invece che far recuperare gettito l’abbia ridotto e abbia “effetti regressivi in termini di distribuzione del reddito, posto che il risparmio in termini di imposizione fiscale beneficia soprattutto i contribuenti più ricchi”. Quanto all’estensione della flat tax incrementale cara a FdI anche ai dipendenti, l’effetto di stimolo all’offerta di lavoro è giudicato “di entità ridotte rispetto alla perdita di gettito” e quel meccanismo “viola anche l’equità orizzontale”.
I rischi della revisione delle tasse sui redditi finanziari – Bocciata anche la scelta di unificare la tassazione di redditi da capitale – dividendi da partecipazioni e interessi – e “redditi diversi”, cioè i guadagni o perdite che derivano dalla vendita di titoli a un valore diverso da quello di acquisto: potrebbe avere effetti di gettito “straordinariamente negativi” ed espone il fisco ai “rischi derivanti dall’ingegneria finanziaria (ad esempio, dalla possibilità di creazione delle minusvalenze fittizie e di conseguente differimento al futuro della tassazione con schemi tipo tax straddles)”. Sulla lotta all’evasione i princìpi elencati nella delega vanno nella direzione giusta, secondo Santoro, quando indicano l’intenzione di consentire il “pieno” utilizzo dei dati, in particolare quelli della fatturazione elettronica e dei corrispettivi, e la “piena” interoperabilità delle banche dati. Ma molto dipenderà da come sarà attuato il comma dell’articolo 15 che potrebbe consentire di limitare il diritto di accesso e di cancellazione dei dati durante l’analisi del rischio evasione. Sul concordato preventivo biennale i dubbi sono gli stessi di Bankitalia: la delega dispone che le Entrate per definire la base imponibile da proporre al contribuente utilizzino gli Isa (indicatori sintetici di affidabilità fiscale), ma subito dopo ne prevede la graduale abolizione. “Il pericolo che va evitato” è che la proposta “anziché basarsi sui dati individuali dello specifico contribuente, si limiti ad un aggiornamento percentuale dei valori dichiarati nei periodi fiscali precedenti. In questo modo, infatti, l’accesso al concordato sarebbe particolarmente attraente per i contribuenti che evadono di più generando una paradossale premialità al contrario“.
La flat tax incrementale allarga le iniquità – Alberto Zanardi, ex membro del Consiglio dell’Ufficio parlamentare di bilancio e ora nel comitato scientifico, condivide le critiche sull’impianto complessivo della riforma dell’Irpef – “non sembrerebbe previsto un deciso allargamento della base imponibile attraverso la riconduzione nella tassazione progressiva di cespiti che ne sono via via fuoriusciti benché la Relazione illustrativa sottolinei la criticità dell’erosione della base imponibile dell’Irpef” – e sull’assenza di coperture se non quelle derivanti dal difficoltoso riordino delle agevolazioni fiscali, posto che le maggiori entrate permanenti derivanti dal miglioramento della compliance fiscale sono state già impiegate per la manovra. Il passaggio alla flat tax produrrà poi “effetti redistributivi che penalizzano i redditi medi e avvantaggiano fortemente quelli più elevati salvo che non si accetti di ridurre fortemente l’incidenza media. E ciò non può che comportare pesanti perdite di gettito, a meno che non si faccia affidamento a, quantomeno incerti, recuperi di evasione fiscale o incrementi di base imponibile per minori distorsioni del prelievo”. Zanardi demolisce infine la flat tax incrementale, chiedendone la cancellazione e lo stop a ogni ipotesi di estensione: applicarla ai dipendenti avrebbe l’effetto di “allontanare, e non invece favorire, l’obiettivo dichiarato di riduzione delle iniquità orizzontali tra contribuenti” perché ne beneficerebbe solo chi abbia avuto un incremento di reddito, magari per un semplice rinnovo contrattuale.
I rischi per il welfare e la classe media – Tranchant Massimo Baldini, docente di politica economica all’università di Modena e Reggio Emilia: posto che “nessun paese dell’Europa occidentale ha un’imposta sul reddito con una sola aliquota”, se il governo intende arrivarci e la fisserà “molto al di sotto del 30%” andrà incontro a una perdita di gettito “nell’ordine delle decine di miliardi all’anno, quindi incompatibile con le prospettive di mantenimento di un welfare state universalistico, a meno di non pensare a forti incrementi del prelievo proveniente da altre imposte”. Se invece l’aliquota fosse intorno al 30% “avrebbe comunque un effetto distributivo non desiderabile, cioè l’aumento del carico fiscale per le classi medie e la riduzione dello stesso per i redditi alti”. Quanto alla flat tax incrementale, “contrasta con il criterio dell’equità orizzontale e potrebbe incentivare comportamenti elusivi. Non credo esista in altri paesi europei”.
Anche Paolo Liberati, ordinario di Scienza delle Finanze a Roma Tre, critica la totale assenza di interventi per correggere l’eccesso di deroghe che ha progressivamente svuotato la base imponibile Irpef, oggi costituita per l’84% da redditi da lavoro dipendente e pensioni, e la scelta di introdurre al contrario nuovi regimi forfettari, con “ulteriore sottrazione al prelievo progressivo ordinario”. E, commentando i princìpi generali, rileva “l’assenza di qualsiasi riferimento all’opportunità che il sistema tributario persegua primariamente esigenze di finanziamento della spesa pubblica“, preferendo “la specificazione di obiettivi di natura extra-fiscale” come la crescita economica o lo stimolo alla natalità “per il raggiungimento dei quali il sistema tributario – nel suo complesso – si dimostra non in grado di agire in via permanente”. Quanto all’intenzione di prevedere un azzeramento dell’aliquota Iva per alcuni beni – quelli essenziali, nelle intenzioni del governo – “è stato dimostrato che l’adozione di un’Iva ad aliquota unica associata ad adeguati trasferimenti monetari alle famiglie meno abbienti potrebbe ottenere esiti distributivi migliori”.
“Rozza commistione tra riforma del sistema fiscale e funzionamento della sanzione penale” – Il tributarista Tommaso Di Tanno, infine, definisce “incomprensibile” l’assenza di una riforma del catasto vista “la fin troppo nota divaricazione tra la fotografia oggi offerta” dalle rendite e “l’effettiva realtà”. E giudica “troppo rozza e non condivisibile” la commistione tra riforma del sistema fiscale e meccanismi di funzionamento della sanzione penale che attiene alla valutazione del grado di antisocialità di un determinato comportamento”. Ovvero l’evasione fiscale. Secondo il docente di diritto tributario la revisione dei rapporti tra sistema penale e sanzioni tributarie “depotenzia nei fatti la possibilità per le Procure di eseguire misure cautelari nella fase delle indagini preliminari nei confronti di quei contribuenti che, commesso il reato tributario, intendono estinguere il debito a rate, con tutte le evidenti conseguenze che potrebbero derivare da interruzioni/abbandoni dei piani di rateizzo”. E attribuire rilievo alle definizioni raggiunte in sede amministrativa ai fini della valutazione della rilevanza penale subordinerebbe la decisione del giudice a quella delle Entrate. In linea con la tendenza emersa negli ultimi anni ad “asservire l’ordinamento penale alle ragioni dell’erario”.