Amore liquido in una società sempre più liquida. Diceva il noto sociologo Zygmunt Bauman, padre della “modernità liquida”: la solitudine genera insicurezza, ma altrettanto fa la relazione sentimentale. In una relazione, puoi sentirti insicuro quanto saresti senza di essa, o anche peggio. Cambiano solo i nomi che dai alla tua ansia. Del resto, proseguiva, l’amore è un prestito ipotecario fatto su un futuro incerto e imperscrutabile. E oggi, in questo presente incerto caratterizzato da crisi epocali, chi se la sente di aprire un mutuo relazionale senza garanzie? Chi è privo di strumenti di consapevolezza, mi verrebbe da dire. Torniamo quindi a parlare di relazioni tossiche (qui i 10 segnali per riconoscerle), ma questa volta dal punto di vista delle relazioni “liquide”, quelle che sembra caratterizzino sempre più le giovani generazioni oggi, ma non solo.
Superficialità e mancanza di volontà di impegnarsi sono le caratteristiche che accomunano fenomeni dai nomi sempre più evocativi, che sembrano tratti da un film horror: “ghosting”, “caspering”, “zombieng”, “love bombing”, “benching”… Tutti “trend” in rapida ascesa come modalità per chiudere una relazione e consistono, in buona sostanza, nell’interrompere improvvisamente i contatti o nel raffreddarsi pian piano, per poi di fatto sparire senza dare spiegazioni. In pratica si interrompe un legame senza chiuderlo davvero e senza alcun confronto con la persona lasciata. E non accade solo in amore, ma può succedere anche in amicizia o addirittura in ambito lavorativo. Sarebbe semplicistico dire che ghosting e affini siano solo figli di social e app di incontri perché, nonostante sia evidente che molte relazioni si aprano e chiudano online, la verità è che, a prescindere che siano relazioni digitali o tradizionali, all’origine manca un’educazione alla responsabilità. Non siamo educati a comprendere la radice di ciò che sentiamo e che ci accade.
Per questo, quando viviamo un disagio interiore, preferiamo la fuga, il disimpegno, l’assenza di profondità. Non siamo abituati ad ascoltare, accogliere e comprendere il linguaggio e l’origine dell’incertezza, dell’insicurezza, dell’ansia, della paura, della frustrazione, della colpa e del dolore; a fermarci e stare in ciò che consideriamo negativo, pesante e doloroso, né a impegnarci con noi stessi o con gli altri. Fuggiamo, evadiamo, ci anestetizziamo col cibo, con l’alcol, con altre relazioni superficiali, col fare compulsivo; riempiamo la nostra vita di impegni e distrazioni perché non ci sentiamo in grado di affrontare e risolvere queste emozioni e situazioni. Eppure la fuga è il modo certo per restare ancorati a quelle dinamiche tossiche e perpetuare la sensazione di inadeguatezza e di non essere all’altezza. La superficialità e la “liquidità” nelle relazioni sono dovute proprio alla mancanza di consapevolezza di sé stessi, delle proprie ferite e dinamiche di compensazione. Sparire, rimanere indecisi e lasciare tutto sempre sospeso, riapparire d’improvviso dopo essersi dileguati senza lasciare nessuna spiegazione sono solo alcuni degli schemi che possono manifestarsi in una relazione quando non c’è consapevolezza di sè e dell’altro. In inglese esiste il detto “hurt people hurt people” ovvero “chi è ferito, ferisce”, mettendo in atto gli stessi schemi e le stesse ferite ricevute in passato e mai guarite attraverso un reale processo di ascolto e consapevolezza.
Dall’altra parte la persona che viene abbandonata, se non ha strumenti di consapevolezza, può vivere un senso di diminuzione della propria autostima, giudicarsi, attribuire a sé stessa le colpe per quel fallimento e sentirsi inadeguata e non voluta. Sentirsi cancellati dalla vita di qualcuno a cui si tiene potrebbe generare un profondo senso di esclusione e di intenso disagio psicologico. Uno studio del dipartimento di psicologia dell’Università della Georgia ha evidenziato che l’effetto del ghosting sulla salute mentale è più profondo di quella del rifiuto totale. A distanza di tempo il ricordo di aver subito ghosting risulta essere più doloroso di una rottura “tradizionale” con un incontro a tu per tu.
Dal mio punto di vista, per affrontare consapevolmente questi temi, bisogna prima di tutto andare oltre la polarità vittima-carnefice. Entrambe le persone coinvolte dovrebbero fare un profondo lavoro interiore sulla responsabilità. Affrontare le proprie profonde insicurezze, le fragilità e l’egoismo, perché questi sono limiti che ci impediscono di sperimentare l’amore. L’esperienza dell’amore prevede, infatti, l’esporsi, lo sbilanciarsi e mostrare insicurezze e fragilità, ma soprattutto include responsabilità e onestà verso ciò che si prova e i propri bisogni reali. Imparare a essere onesti con se stessi e con gli altri. E chi riceve questi atteggiamenti dovrebbe smettere di giocare il ruolo di vittima e assumersi la responsabilità delle proprie scelte, lavorando sull’amor proprio, sul senso del proprio valore e sulle dinamiche di svalutazione e di annullamento. Cadiamo in questo tipo di dinamiche inconsapevoli e tossiche perché non abbiamo la più pallida idea di cosa sia realmente l’amore. Lo confondiamo spesso per innamoramento e usiamo le altre persone per proiettare i nostri bisogni di sicurezza, riconoscimento, accettazione, cura e presenza.
Essere responsabili vuol dire, prima di tutto, essere in grado di dare queste stesse attenzioni a noi stessi, senza la pretesa che siano il mondo o gli altri a farci sentire amati e importanti. Quando ci troviamo in una condizione di integrità, autostima e sicurezza interiore è molto più difficile che queste dinamiche tossiche attecchiscano e abbiano presa nella nostra vita. Anziché cercare una relazione soddisfacente con gli altri, dovremmo occuparci innanzitutto di instaurare una relazione sana con noi stessi. Se vogliamo davvero cambiare le cose, anziché incolpare gli altri delle nostre sofferenze (il che non significa, comunque, giustificare un comportamento malato e scorretto da parte del partner), iniziamo a comprenderne la radice dentro di noi. Questa è la via della vera responsabilità, una via in cui ci si può incamminare a qualsiasi età.